Dopo 60 anni storico stop alle aranciate senza arancia con più frutta nelle bibite per l'entrata in vigore del provvedimento nazionale che innalza dal 12% al 20% il contenuto di succo d'arancia delle bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell'arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino. Lo ricorda con soddisfazione la Coldiretti in occasione dell'applicazione delle disposizioni contenute nella legge 161 del 30 ottobre 2014 che sono entrate in vigore da ieri, 6 marzo 2018, trascorsi dodici mesi dal perfezionamento con esito positivo della procedura di notifica alla Commissione europea del provvedimento in materia di bevande a base di succhi di frutta.

Era attesa anche una reazione di Distretto agrumi di Sicilia in argomento, al momento non pervenuta. Ma il più grande distretto agrumario d'Italia è notoriamente favorevole ad una maggiore diffusione di succhi freschi e di bibite a base di succo di agrumi purché sia chiara l'origine della materia prima.

"L'innalzamento del contenuto di succo d'arancia nelle bevande – sostiene la Coldiretti – ha un impatto economico sulle imprese agricole poiché l'aumento della percentuale di frutta nelle bibite andrà a salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria".

"L'aumento della percentuale del contenuto minimo di frutta al 20% corrisponde
– spiega la Coldiretti – all'utilizzo di 200 milioni di chili in più di arance all'anno con effetti anche dal punto di vista paesaggistico in una situazione in cui una pianta di arance su tre (31%) è scomparsa in Italia negli ultimi quindici anni, mentre i redditi dei produttori sono andati a picco. Ad oggi per ogni aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro agli agricoltori vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute, del tutto insufficienti a coprire i costi di produzione e di raccolta. Una situazione che – denuncia la Coldiretti – alimenta una intollerabile catena dello sfruttamento che colpisce lavoratori, agricoltori ed i trasformatori attenti al rispetto delle regole".

"L'innalzamento della percentuale di succo di frutta nelle bibite va a migliorare concretamente la qualità dell'alimentazione e a ridurre le spese sanitarie dovute alle malattie connesse all'obesità in forte aumento" ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che "il prossimo passo verso la trasparenza è quello di rendere obbligatoria l'indicazione di origine in etichetta della frutta utilizzata nelle bevande per impedire di spacciare succhi concentrati importati da paesi lontani come made in Italy".

In argomento si registra per ora il silenzio del Distretto agrumi di Sicilia e della sua presidente, Federica Argentati. Anche se, a dire il vero, in materia succhi, il più importante distretto produttivo agrumario d'Italia si è però pronunciato in passato, chiedendo provvedimenti tali da favorire la diffusione di spremiagrumi automatiche nei luoghi pubblici, per incentivare il consumo di succhi freschi.

E la scorsa estate, la presidente Argentati aveva dichiarato: "Abbiamo sempre lavorato per contribuire alla crescita operativa e culturale della filiera e delle istituzioni rispetto alla necessità di occuparsi della trasformazione industriale non come semplice canale di sbocco delle produzioni in eccesso, ma quale veicolo di commercializzazione di una quota di prodotto di qualità.

La Argentati aveva inoltre aggiunto: "Uno specifico servizio di trasformazione può, in un mercato globale, dare al consumatore la possibilità di trovare sul mercato prodotto siciliano in e spremute fresche o, da concentrato, all’interno delle bibite e in qualsiasi altra forma gradita al consumatore finale con una chiara origine di provenienza, con indubbio vantaggio per la produzione e per i consumatori stessi”.