“La media europea dei giovani in agricoltura è più del doppio rispetto a quella italiana. Siamo al 6% contro il 2,9% dell’Italia, che sconta una disoccupazione giovanile arrivata a livelli preoccupanti: il 42%,secondo l’Istat. Francia, Polonia e Germania hanno una media di agricoltori Under 35 che supera il 10 per cento”.
Sono dati che fanno riflettere, quelli snocciolati da Matteo Bartolini, presidente del Ceja, l’Associazione europea dei giovani agricoltori. Incontrato a Bruxelles a margine del meeting europeo dei giornalisti agricoli, gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Quali politiche ha in mente il Ceja per i giovani?
“Sono numerosi e diversi gli interventi da attuare per i giovani, l’ho specificato anche una settimana fa alla conferenza internazionale del Family farming. Ebbene, se vogliamo mantenere la famiglia in agricoltura bisogna intervenire”.

Come?
“Sicuramente una riposta è arrivata dalla riforma della Pac, con il pagamento aggiuntivo nel Primo pilastro, il famoso Top-up, e con la possibilità di fare un sottoprogramma Giovani nel Secondo pilastro. Si tratta, però, di opportunità che i singoli Paesi hanno a disposizione”.

L’Italia ha deciso qualcosa in merito?
“No. Non si sa ancora quale sarà la misura scelta per l’applicazione del Top-up nel Primo pilastro”.

Quali sono i suoi auspici?
“Mi auguro che la scelta sia in linea con quello che la maggior parte dei Paesi stanno portando avanti e cioè l’applicazione del pagamento aggiuntivo non sul premio base, ma sulla sommatoria del premio di base con il greening. Questa è una delle quattro opzioni ed è quella che potrebbe massimizzare di più il 2% del budget del primo pilastro a disposizione dei giovani agricoltori. Quindi, riassumendo, si sommano il pagamento di base al greening e su questo risultato si calcola il 25%, che è la cifra destinata appunto ai giovani”.

Quanto al sottoprogramma Giovani legato al Secondo pilastro?
“Su questo aspetto, parlando con alcuni assessori regionali, ho potuto constatare la non volontà di implementare questo elemento perché, da un punto di vista burocratico, è visto come un peso ulteriore”.

Non è così?
“Personalmente ritengo che sia stato sopravvalutato il peso burocratico e sottovalutati invece i benefici di un pacchetto di misure per i giovani. Sono partito da alcuni dati che devono essere interpretati correttamente. E il segnale, purtroppo, è che i giovani stanno scomparendo dall’agricoltura”.

Uno dei temi ampiamente dibattuto è quello relativo all’agricoltore attivo. Qual è la sua posizione?
“Parliamo di una materia molto delicata, perché a seconda dei requisiti fissati cambia il numero di beneficiari delle misure comunitarie. A prescindere dalla questione italiana credo che in un momento in cui l’Europea decide di restringere le dotazioni finanziarie per il settore agricolo, diventa opportuno che l’agricoltura cominci al proprio interno a valutare chi merita tali aiuti e chi, invece, vive di rendita”.

La black list comunitaria esclude dagli aiuti aeroporti, campi da golf e altri soggetti simili. Va bene così?
“In parte. Nel senso che quella è la base minima dalla quale partire. Come Ceja, auspichiamo che venga sempre di più allargata la lista nera, senza fare una caccia alle streghe, ma valutando come migliorare l’utilizzo dei fondi. Oggi dobbiamo confrontarci ancora con delle sacche di spreco di risorse che devono essere prosciugate”.

In Italia, fra le ipotesi avanzate dagli agricoltori, si parla di guardare alla posizione Inps o alla partita Iva per determinare chi è un agricoltore attivo. Va bene, secondo lei?
“Non saprei, non conosco bene la questione italiana. So che però se si adotta una soluzione piuttosto che un’altra si sposta il baricentro e si comprendono o si escludono circa 400mila aziende. Quello che mi preme sottolineare, tuttavia, è che la posizione Inps o la partita Iva non sono le uniche variabili”.

Quindi?
“Bisogna capire come sostenere chi vive in alcune aree, ad esempio quelle svantaggiate, e che svolge una funzione innegabile e preziosa di presidio del territorio. Cosa significa agricoltore attivo, a questo punto? Attivo solo dal punto di vista economico? O attivo anche da un punto di vista ambientale? Dobbiamo considerare attivo anche l’agricoltore che tutela territorio e paesaggio? Bisogna avere idee chiare su questi punti. È facile escludere gli aeroporti e i campi da golf, ma bisogna andare oltre. Ho letto, di recente, che il principe di Danimarca riceve 2,5 milioni di euro dalla Pac. Sarà utile capire se l’Unione europea intenderà ancora dare il contributo a questo tipo di persone o se cambierà rotta”.

Ritiene che debbano essere sostenute con la Pac anche le microaziende, con superfici inferiori di un ettaro?
“Io credo di no. So che questa posizione non è condivisa dalla mia categoria (la Cia, ndr) ma io credo che si debbano compiere delle scelte. Non tanto per fare una battaglia ai piccoli, quanto per attivare leve per far funzionare meglio il mercato degli affitti. Non dimentichiamo che per i giovani il problema dell’accesso al bene terra è sempre uno dei temi principali. E ritengo che togliere tutti quei piccoli appezzamenti di terra che ad oggi, per tradizione o per storia, l’anziano si mantiene per fare il piccolo orticello, forse aiuterebbe a far aumentare la Plv delle aziende, la superficie, accorpare le aziende”.

In Italia da tempo si parla di destinare i terreni demaniali ai giovani agricoltori. Ci sono sviluppi?
“Nulla. Ormai passano i ministri e ognuno di loro fa riferimento ai terreni demaniali appena arriva, ma poi non se ne sa più niente”.

Come mai?
“Non lo so, anche se immagino che tutto sia legato alla macchina burocratica italiana, con una cattiva comunicazione fra agenzia del Demanio piuttosto che il ministero o altro. Manca la comunicazione. Per questo, credo che i giovani possano essere di aiuto, attraverso una rete informatizzata, che farebbe risparmiare una grande quantità di carta”.

Vede spiragli?
“Avevamo proposto al governo di far partire immediatamente gli affitti, che possono essere un aiuto”.

Ma allo Stato interessa di più la vendita, avendo bisogno di risorse.
“Certo. Però potrebbero essere usati strumenti finanziari come il factoring. Il governo, a fronte di un contratto di affitto di 20 o 30 anni potrebbe incassare immediatamente dalla banca il totale dell’affitto. La banca avrebbe la sua commissione, lo Stato l’ammontare totale dell’importo e avremmo dato al giovane la possibilità di subentrare immediatamente, con una rata mensile e non con un esborso pesante immediato. Il giovane, poi, al termine del periodo di affitto potrà scegliere se riscattare il bene o restituirlo”.