Ben il 96% degli italiani maggiorenni dice di portare abitualmente in tavola questi prodotti, segno della capacità del settore di adattarsi alle esigenze del consumatore e di seguirne l'evoluzione.
Consumo moderato
Il presidente del Censis, Massimiliano Valerii, nell'esporre questi dati ha tenuto a precisare che si tratta di consumi maturi e responsabili.Il consumo reale di carni suine nel suo complesso si ferma sotto i 20 kg procapite, con un leggero aumento, appena 8 etti, rispetto a dieci anni fa.
Anche prendendo come riferimento il consumo apparente, al lordo cioè delle parti di scarto, il valore si colloca a 39,5 kg procapite, assai distante dai consumi, ad esempio, della Danimarca (56 kg), dell'Olanda (54,8 kg) o della Spagna (54,7).
Eccellenze italiane
Un consumo responsabilmente moderato, che può trarre vantaggio della eccellenza qualitativa delle produzioni italiane.Non è un caso se le carni suine nelle varie declinazioni trovano nei giovani “millenials” il picco dei consumatori abituali.
Un segnale importante per la tenuta del mercato nei prossimi anni. Così come la “trasversalità” territoriale di questi consumi, che si colloca su valori analoghi da Nord a Sud.
Sicurezza e piacere
Da questi e dagli altri elementi scaturiti dalla ricerca del Censis emerge la preferenza verso alimenti capaci di abbinare i valori di sicurezza e salubrità con il piacere del buon cibo.Aspettative soddisfatte dalla filiera suinicola nel suo insieme e dall'impegno delle industrie di trasformazione, come dimostra la tenuta dei consumi a dispetto della crisi economica, delle mode alimentari e degli ingiustificati, ma frequenti, allarmismi nei confronti delle carni.
Export a gonfie vele
Il buon andamento del comparto e la sua capacità di rispondere alle attese del consumo, trova conferma nei risultati ottenuti sul fronte dell'export.Significativo a questo proposito il risultato dell'Italia nel superare la Germania nell'esportazione di preparazioni e conserve a base di carni suine.
Con i suoi 1,38 miliardi di euro nell'export di prodotti suinicoli, l'Italia si pone in questo settore ai primi posti nel mondo. “I salumi italiani - ha dichiarato Raffaele Borriello, direttore generale dell’Ismea, intervenuto all’assemblea di Assica - vincono il confronto competitivo, pur posizionandosi su una fascia alta di prezzo”.
Un futuro in crescita
Negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane sono cresciute del 27% in valore e oltre la metà è rappresentata dai prosciutti stagionati (692 milioni di euro nel 2016).Risultati destinati ad essere migliorati in futuro grazie all'apertura di due importanti mercati, quello Usa e quello canadese.
Altro mercato di interesse è quello giapponese, che a dispetto del calo delle sue importazioni di salumi (-8%), ha visto aumentare del 7% le provenienze dall'Italia.
Segnali di crescita vengono poi dai mercati europei, con Francia e Germania che nel 2016 hanno aumentato i propri acquisti dall'Italia.
Una politica per l'export
La tenuta dei consumi sul fronte interno e il buon andamento dei flussi di export non hanno mancato di riverberarsi positivamente sulla fase di allevamento, che dopo una lunga stagione di crisi di mercato, vede ora i prezzi in linea con i costi di produzione.La redditività degli allevamenti tiene, anche se a volte erode i margini delle attività di trasformazione. La ricerca di un equilibrio fra le diverse componenti della filiera produttiva è tuttavia indispensabile per dare stabilità al settore.
In questo quadro un ruolo fondamentale è affidato alle esportazioni e alle industrie del settore va riconosciuto il merito di aver lavorato bene su questo fronte. Di più e meglio si potrà fare se ci saranno politiche agroalimentari che spingano in questa direzione.