Ad affermarlo è stato il presidente della Cia - Confederazione italiana agricoltori, Dino Scanavino, intervenendo a Mantova ad un convegno intitolato “Oltre le quote latte. Il futuro del sistema lattiero-caseario in Italia” e parte di un ciclo di incontri promossi dalla Confederazione e denominato “Territorio come destino”. Al dibattito hanno preso parte gli assessori all’Agricoltura delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna Gianni Fava e Tiberio Rabboni, i presidenti del Consorzio di tutela Parmigiano Reggiano e Grana Padano Giuseppe Alai e Nicola Cesare Baldrighi, nonché il direttore generale di Granlatte-Granarolo Andrea Breveglieri.
Da aprile 2015 in Europa il regime delle quote latte verrà superato: un fatto che viene da più parti considerato rivoluzionario per un settore caratterizzato da oltre un trentennio da una forte regolamentazione produttiva. Le quote, decise in origine per mantenere una politica di sostegno al settore evitando sovrapproduzioni, hanno, dalla fine degli anni ’80, di fatto cristallizzato le produzioni nazionali provocando forti squilibri tra i diversi Paesi. In Italia questa regolamentazione ha prodotto errori di gestione, conseguenti indagini della magistratura, multe salatissime da pagare alle casse comunitarie. Problemi, tra l’altro, non ancora del tutto superati.
L’eliminazione del regime delle quote arriva in un momento difficile per il settore, con una tendenziale crescita dei consumi, soprattutto di formaggi e prodotti caseari, specie nei nuovi mercati, ma accompagnata da una sensibile volatilità dei prezzi. In Europa si prevede una crescita delle produzioni (poco meno del 2% l’anno), che toccheranno nel 2020 i 150 milioni di tonnellate di latte, ma forti squilibri tra i paesi produttori: il rischio è un forte aumento della competitività e una crescita concentrata principalmente nel Nord Europa.
E’ un’occasione importante per l’Italia, Paese non autosufficiente - importiamo quasi il 40% del latte che utilizziamo e consumiamo - ma anche produttore ed esportatore di formaggi di assoluta qualità, dunque fortemente esposto al fenomeno dell’italian sounding e della contraffazione. E’ necessario dunque dare stabilità al settore definendo un prezzo del latte (laddove non è stato ancora fatto) con un contratto semestrale o, al massimo, quadrimestrale, al fine di consentire agli allevatori di poter avviare la programmazione a medio termine. Per questo il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, ha aperto un tavolo di confronto che, negli auspici, dovrebbe dare risultati grandemente attesi dal mondo agricolo.
“L’Italia - ha sostenuto il presidente della Cia - deve prima di tutto puntare sui formaggi a denominazione di origine che oggi hanno fatturato oltre 4 miliardi di euro, di cui ben 1,5 realizzati sui mercati esteri. Il pacchetto latte integrato nel Regolamento Ue 1308/2013, permette, come richiesto dalle organizzazioni, la programmazione delle produzioni da parte dei Consorzi. Ma sono necessarie strategie aggressive che guardino ai mercati in espansione e siano sostenute da efficaci campagne di promozione ed educazione alimentare”.
Attualmente su una quarantina di prodotti Dop e Igp, il fatturato è concentrato principalmente su Parmigiano Reggiano e Grana che rappresentano in valore più dell’80 per cento dell’intero settore. Anche per il latte fresco e i prodotti caseari non a denominazione è necessario avviare una nuova stagione di relazioni interprofessionali che sfoci in uno strumento efficace ed autorevole -come previsto dalla regolamentazione comunitaria e già esistente in altri Paesi- che abbia la forza di regolamentare il mercato e favorire buone pratiche contrattuali. Il rafforzamento della filiera necessita anche di un forte potenziamento dell’aggregazione del prodotto con la creazione o lo sviluppo di organizzazioni di produttori di dimensioni adeguate e di progetti commerciali efficaci, promossi e controllati dagli allevatori.
“La nuova programmazione dello sviluppo rurale rappresenta - ha proseguito il presidente della Cia - un’opportunità da non perdere per avviare programmi di innovazione e investimenti. Questa però deve essere anche l’occasione per sviluppare efficaci sistemi di gestione del rischio e stabilizzazione dei redditi”.
L'assessore lombardo all'Agricoltura, Gianni Fava, ha sottolineato l'importanza di tracciabilità e etichettatura per il futuro del settore lattiero caseario italiano.
"Quando parliamo di latte - ha spiegato Fava - è bene partire dai dati, che ci dicono che produrre latte in Lombardia, come rilevato dal Sata (Servizio di assistenza tecnica agli allevatori), si aggira in media sui 50,3 centesimi al litro, che è una media fra le imprese che vivono in pianura e in montagna".
Cifre che "se vanno sommate al crollo delle risorse della Pac sul primo pilastro, cioè gli aiuti diretti, per il periodo 2014-2020, in prima battuta hanno imposto che sugli aiuti accoppiati oltre la metà venisse stanziato alla zootecnia, ma che ora rendono comunque indispensabile la fissazione di un prezzo del latte alla stalla che consenta alle imprese agricole di produrre con una remunerazione equilibrata".
Sul tema delle quote latte, Fava è stato lapidario: "Dobbiamo avere il coraggio di dire che l'applicazione italiana del meccanismo delle quote latte è stato un fallimento clamoroso, tipico della dinamica tutta italiana. Gli allevatori si sono impoveriti per lo scambio di carta. Se la gestione delle quote avesse ottenuto l'attenzione che ha assicurato l'Irlanda, che in 30 anni ha sviluppato una grande capacità produttiva, avremmo potuto avere un destino diverso, invece in Italia le quote sono state gestite dallo Stato e assegnate indipendentemente da chi produceva il latte".
Fava ha quindi sottolineato la necessità di nuove regole nel post quote latte perché, ha ricordato, "un mercato senza regole è un mercato selvaggio". Fondamentale però queste regole non si trasformino trasformarsi in oneri, costi di sistema, burocrazia.
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