Sono racchiuse in una prima ricerca di oltre 100 pagine le ragioni per le quali il territorio dell’Emilia centrale e della bassa Lombardia punta ad essere riconosciuto dall’Unesco (l’organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura) come “Patrimonio culturale immateriale dell’umanità”.

L’iniziativa - realizzata dal Club Unesco di Reggio Emilia in collaborazione con il Consorzio del Parmigiano Reggiano – è stata presentata a Reggio nell’aula magna dell’Università di Modena e Reggio Emilia dai ricercatori Riccardo Braggion e Valentina Tavon, unitamente al coordinatore del progetto, Silvio Cari Gallingani, e al presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai.


La relazione rappresenta un cammino in un territorio che, come ha detto il curatore Cari Gallingani, rappresenta un “unicum” particolare e delicato che si è modificato nel tempo per opera di una pluralità di fattori e che è degno di valorizzazione e tutela.

 

La storia del territorio

La ricerca parte dalla geologia e morfologia del territorio, per poi passare ad una storia che va dal paleolitico, all’età del bronzo, alle prime operazioni di bonifica realizzate nel 115 d.c. grazie al console romano Marco Emilio Scauro e, all’impronta fortissima lasciata dal regno di Carlo Magno e dal potere dei (da) Canossa, ai quali si devono interventi di regimentazione delle acque nella bassa reggiana. Un rischio, quello legato alle acque, che comincia a stemperarsi, ma che i primi colonizzatori ebbero comunque il coraggio di correre in virtù dell’alta fertilità dei terreni prossimi al fiume Po.

Decisiva, per lo sviluppo di questi territori, fu la presenza di stirpi come, appunto i (da) Canossa, tante altre famiglie nobili, ma soprattutto quella di monaci, monasteri, ordini religiosi, con un ruolo di primo piano per i Benedettini, ai quali si deve l’introduzione della produzione di formaggio duro a lunga stagionatura, ovvero di quel Parmigiano-Reggiano che nasce in concomitanza con il passaggio sempre più evidente dalla pastorizia all’allevamento.

Lo studio derivante dallo studio dei testi antichi in monasteri ed abbazie, la capacità dei monaci benedettini di aggregare gli uomini in un territorio ampio e con caratteri di omogeneità e singolarità, unita alla necessità di gestire vasti territori incolti, diedero l’avvio a quelle trasformazioni che si sono perpetuate per secoli all’interno del mondo rurale, connotando produzioni ma anche tutto l' ecosistema.

Quella dell’Emilia centrale e della bassa Lombardia è dunque una storia ed un “unicum” profondamente segnato dal Parmigiano Reggiano, dai mulini ad acqua, da campagne che si punteggiano di case coloniche, da positivi valori imperniati sulla necessità di preservare il valore e la qualità del territorio, da un continuo “fare” che ha dato continuità alle trasformazioni, ma anche un senso che le riconducesse al benessere delle comunità locali.


Obbligo di taglio e confezionamento in zona d'origine

Dopo la deroga temporanea concessa ad alcuni operatori a seguito del terremoto del maggio 2012, dall’1 marzo 2013 è scattata l’applicazione dell’ultima riforma introdotta dal nuovo disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano in vigore dalla fine di agosto 2011.

Si tratta della norma che prevede che tutte le operazioni di taglio e confezionamento del formaggio Parmigiano Reggiano grattugiato ed in porzioni, con e senza crosta, dovranno essere effettuate esclusivamente all’interno della zona di origine per garantire la qualità, la tracciabilità e il controllo (l’attività di certificazione della Dop è in capo all’Organismo terzo di controllo Ocq Pr).


Gli operatori interessati al confezionamento in zona, e in particolare le imprese del commercio al dettaglio ubicate fuori della zona di origine, possono trovare informazioni sul sito del Consorzio e visionare la specifica circolare al seguente link: http://www.parmigianoreggiano.it/consorzio/linee_guida_confezionamento/default.aspx