Una bevanda che si ottiene dalla fermentazione del miele sciolto in acqua, che si può presentare ferma o spumante, secca o amabile e che ha una grande tradizione in molti paesi europei.
In Italia esistono alcune importanti aziende che producono bevande di alta qualità, e l'idromele suscita interesse tra apicoltori ed enologi, ma attualmente non gode di una grande diffusione e spesso non è nemmeno conosciuta dai consumatori.
Per rilanciare la produzione della bevanda nel nostro paese, il Crea di Bologna ha avviato un progetto consistente principalmente nella valutazione della qualità di vari ceppi di lieviti selezionati per la fermentazione e nell'organizzazione, a dicembre, di un incontro di presentazione dei risultati delle sperimentazioni e di confronto tra chi già produce idromele in Italia.
Per farci fare un quadro di questa realtà e di cosa è emerso in questa giornata abbiamo intervistato Piotr Medrzycki, ricercatore del Crea - Centro di ricerca agricoltura e ambiente di Bologna.
Piotr Medrzycki, da dove è nata l'idea di un progetto sull'idromele?
"L'idea di una simile iniziativa non è nuova. Alcuni apicoltori da anni improvvisano metodi casalinghi per produrre l'idromele con lo scopo principale di integrare il reddito ampliando l'offerta di prodotti apistici. Queste iniziative sono spesso fallimentari in quanto in Italia manca ancora una buona base teorica per la produzione di questa bevanda. Da tempo quindi si sente il bisogno di una sperimentazione finalizzata allo studio di diversi lieviti e mieli, nonché metodi di fermentazione per ottenere un prodotto di qualità.
Quando nel 2017 fu pubblicato dalla Fondazione cassa di risparmio in Bologna un bando per l'assegnazione di un finanziamento nel settore 'ricerca scientifica e tecnologica anche in campo medico', pensammo subito di presentare una proposta di progetto relativo all'idromele. Ci è stato poi concesso il finanziamento e pertanto abbiamo avviato la sperimentazione".
Piotr Medrzycki del Crea
Cosa è stato presentato durante la giornata di studio svoltasi presso la sede del Crea di Bologna?
"Il programma della giornata era diviso in due parti. La prima parte (teorica) è stata dedicata ad introdurre il prodotto, si è accennato alle sue origini storiche, alle tradizioni locali attuali, alla presenza di idromele nella mitologia. Infine sono stati presentati i risultati della sperimentazione oggetto del finanziamento della Fondazione cassa di risparmio in Bologna, ovvero le caratteristiche organolettiche e chimiche degli idromeli ottenuti dalla fermentazione di cinque tipi diversi di miele (acacia, tiglio, ailanto, melata e castagno) con quattro ceppi diversi di lieviti. I partecipanti hanno potuto anche assaggiare alcuni dei prodotti così ottenuti.
La seconda parte della giornata è consistita in un workshop, durante il quale si sono assaggiati dodici campioni di idromele forniti da alcuni partecipanti. A ognuno dei convenuti è stato chiesto di assaggiare tutti i campioni e di compilare delle schede di descrizione sensoriale appositamente predisposte. Rielaborando le risposte, abbiamo potuto raccogliere dei descrittori organolettici di odore, sapore e aroma di idromele per arricchire il vocabolario già abitualmente impiegato".
Riguardo ai ceppi di lieviti selezionati dal Crea - Centro di ricerca viticoltura e enologia, cosa avete scoperto?
"Ogni ceppo di lievito ha le sue caratteristiche, sia per quanto riguarda il contributo organolettico che apporta al fermentato, sia rispetto alla capacità di metabolizzare il fruttosio. La seconda è una caratteristica molto desiderata per la produzione di idromele in quanto il miele è ricco di questo zucchero (alcuni tipi di miele più di altri). Grazie alla sperimentazione abbiamo potuto individuare i ceppi più idonei per la fermentazione di diverse tipologie di miele".
Oggi quale è la realtà produttiva dell'idromele in Italia?
"Oggi il mercato offre pochi tipi di idromele prodotti da un numero limitatissimo di aziende in quantità poco rilevanti. Esistono tuttavia alcune aziende con dimensioni produttive di centinaia di ettolitri all'anno. In questi casi, la produzione è spesso destinata ai mercati esteri, soprattutto a causa della mancanza di mercato interno".
C'è interesse secondo lei nel mondo apistico a investire in questo tipo di produzione? Quali sono le problematiche principali da affrontare?
"Molti apicoltori sono interessati alla trasformazione del loro prodotto primario (miele) per ampliare la propria offerta commerciale e ottenere un'integrazione del reddito. L'interesse quindi c'è, ma per ora la domanda da parte del mercato italiano è molto limitata.
In Italia il consumatore medio non conosce l'idromele e di conseguenza non lo cerca. Coloro che hanno già avuto un contatto con la bevanda, facilmente si sono purtroppo imbattuti in prodotti di scarsa qualità. Infatti spesso i produttori ricorrono a tecniche improvvisate, mentre per ottenere un prodotto gradevole e stabile da un punto di vista organolettico occorre basarsi su robuste basi teoriche o sugli insegnamenti raccolti da una consistente esperienza personale o dalla tradizione. Vorremmo incoraggiare il consumatore a cercare e testare prodotti di diverse aziende perché esistono sul mercato anche bevande di alta qualità e siamo sicuri che ognuno troverebbe l'idromele di suo gradimento.
La criticità che ho esposto non si riscontra invece nella zona del Nord Europa. Per esempio in Polonia, mio paese natale, l'idromele rappresenta la bevanda nazionale ed è molto richiesto sul mercato. Comunque non mancano anche le famiglie, tra cui la mia, che da generazioni producono l'idromele per autoconsumo, tramandandosi le ricette meglio riuscite".
Quali criteri consiglierebbe al consumatore di adottare nella scelta di un idromele e dell'azienda produttrice?
"Ognuno di noi ha i propri gusti. Se aggiungiamo a questo la diversità di potenziali usi di idromele, i criteri di scelta risultano numerosi, per esempio: il grado di dolcezza, il gusto e aroma (che dipendono in gran parte dall'origine botanica dei mieli di partenza e dall'eventuale uso di spezie), il grado alcolico.
Un consumatore particolarmente attento agli additivi, potrebbe anche decidere di guardare se sono presenti i solfiti aggiunti. Questo parametro è spesso correlato con l'età del prodotto. In poche parole, una bevanda stagionata (almeno due anni), ovvero prodotta con il metodo tradizionale, raggiunge naturalmente la sua stabilità (non osserveremo alcun cambiamento dall'apertura della bottiglia per diversi mesi). Se il produttore vuole accelerare il processo produttivo per ottenere un minimo di stabilità, seppur spesso precaria e temporanea, sarà costretto a ricorrere all'aggiunta dei solfiti appunto. Tuttavia in questo caso il prodotto potrebbe non mantenere le proprie caratteristiche e spesso dopo la prima apertura comincerà a sviluppare odori e sapori sgradevoli.
Infine, anche l'origine geografica del miele di partenza potrà costituire un importante criterio per la scelta. Il legame del consumatore con il territorio è infatti un fattore da non trascurare".
Come può essere consumato l'idromele?
"Nell'immaginario comune in Italia l'idromele rimanda alle feste celtiche e alle rievocazioni medievali, ma ci si dimentica che la sua produzione si sviluppò in origine nel bacino del Mediterraneo e ben prima dell'invenzione della birra e del vino! Nei paesi dove oggi l'idromele è consumato comunemente, accompagna, a seconda delle sue caratteristiche organolettiche (per esempio il grado di dolcezza), le portate principali dei pasti, o i dolci, ma viene servito anche negli aperitivi o come brulé. Le potenzialità di questa bevanda non si esauriscono quindi negli abbinamenti più scontati e nei contesti più noti".
Il Crea ha intenzione di continuare a lavorare sull'idromele?
"Il progetto finanziato dalla fondazione si è concluso ma è da intendersi come un primo passo nello studio del prodotto idromele. I risultati costituiscono la base per l'avviamento di ulteriori studi. Se si riuscissero a intercettare altri finanziamenti, il Crea sarebbe molto interessato a continuare la ricerca in questo settore".