Francia, Germania, Regno Unito, Polonia, Italia e Olanda. E' l'elenco dei paesi che nel 2016 hanno puntato sulla macellazione di vacche come strumento per ridurre la quantità di latte prodotta.
Per contenere la sovrapproduzione di latte, che forse è stata la principale causa del crollo dei prezzi, l'Unione europea ha previsto fra i propri strumenti anche quello di assegnare agli allevatori la cifra di 14 centesimi per litro di latte non prodotto.

Accanto alla macellazione come soluzione per ridurre il numero di capi in mungitura, innalzando così il livello genetico delle bovine (le vacche riformate sono normalmente quelle con i maggiori problemi, con la qualità più bassa delle produzioni), si è innescato in parallelo un mercato degli animali, che ha generato da un lato business per i venditori e dall'altro sostenuto alcuni paesi nelle politiche di rafforzamento della zootecnia.

Tra gennaio 2016 e febbraio 2017, in base ai dati elaborati da Teseo by Clal.it, la Francia ha esportato un numero di bovini sempre al di sopra dei 100mila capi, con la sola eccezione di luglio dello scorso anno, quando l'export di bovini (compresi quelli da carne, tradizionalmente una voce di bilancio particolarmente forte nell'economia agricola francese) si è attestato al di sopra degli 86mila capi commercializzati. Il picco più alto è stato toccato a novembre 2016, con 148.490 animali esportati. Il totale da gennaio 2016 e febbraio 2017 è di 1.614.176 bovini esportati.

Focalizzandosi sull'export delle manze da riproduzione, fra gennaio e febbraio di quest'anno i principali paesi di destinazione sono stati: Algeria (2.398 capi, +18% rispetto al primo bimestre 2016), Italia (1.940, +83% su base tendenziale), Marocco (1.330 capi contro nessuno esportato nel periodo gennaio-febbraio 2016), Spagna (1.185, -5%), Ungheria (59, +136%).

La Germania fra gennaio 2016 e gennaio 2017 ha esportato mensilmente oltre i 61mila bovini, con una punta di oltre 86mila unità nel mese di settembre. Il principale destinatario delle manze da riproduzione è stata la Turchia con 31.354 capi esportati nei 13 mesi), seguita a distanza da Marocco (7.078 capi), Egitto (2.842 capi inviati nei soli mesi di luglio e dicembre 2016 e gennaio 2017) Romania (2.669), e Belgio (2.189 manze).

Il Regno Unito ha flussi di import-export assai moderati e con rapporti privilegiati con l'Irlanda, la Polonia ha rapporti commerciali frequenti con i Paesi Bassi, l'Italia (solo per l'export di manze da riproduzione e comunque con volumi di circa un centinaio di capi al mese), è l'Olanda una delle realtà più vivaci nello scacchiere europeo in chiave di export di manze da riproduzioni.

Fra gennaio 2016 e gennaio 2017, l'Olanda ha esportato un totale di 258.484 capi bovini. Russia e Ungheria sono i principali paesi di destinazione delle manze da riproduzione, ma la rete olandese spazia dal Regno Unito alla Libia, fino alla Spagna. Ancora più frizzanti anche le importazioni di bovini, che nello stesso periodo hanno visto ingressi per 607.822 capi bovini, con un saldo commerciale negativo per la filiera orange.
 

Le grandi potenze

La Russia rilancia il piano per l'autosufficienza e ha incrementato le importazioni di manze da riproduzione, scegliendo fornitori che si distinguono per efficienza, affidabilità e capacità genetica. I principali paesi sono infatti l'Olanda, la Danimarca, la Germania.
Il picco mensile delle importazioni si è verificato lo scorso dicembre, con oltre 5.100 capi importati. Export russo scarso e limitato alle realtà confinanti: Kazakhstan e Mongolia.

Anche la Cina è un massiccio importatore di bovini. Le dogane cinesi non forniscono dettagli seguendo la scala delle unità di bovini, ma si riferiscono alle tonnellate importate. Aspetto che rende impossibile quantificare il numero di bovini. Fra gennaio 2016 e febbraio 2017, i dati elaborati da Teseo by Clal.it registrano una quota complessiva vicina a 41 milioni di tonnellate. Questo porta a ipotizzare (ripetiamo: ipotizzare) importazioni intorno ai 100 milioni di capi in 13 mesi, a conferma di una volontà di crescere massicciamente sul versante zootecnico.
La Cina si è candidata nel ruolo del paese simbolo della globalizzazione ed è chiamata a incrementare le proprie produzioni agricole. E questo con una duplice finalità: innanzitutto quella dell'autosufficienza alimentare, ove possibile; in parallelo, come possibile esportatore, a partire dalle aree geografiche limitrofe, che permetterebbero all'ex Celeste Impero di consolidare l'egemonia nell'area asiatica.
Non dimentichiamo, inoltre, che la Fao calcola che nel 2050 la Cina avrà una popolazione di 1,34 miliardi.

Dall'altro capo del mondo gli Stati Uniti fra gennaio 2016 e febbraio 2017 hanno esportato complessivamente meno di 80mila bovini, contro importazioni medie mensili nettamente superiori ai 100mila bovini al mese, con un picco di 234.370 capi nel marzo dello scorso anno.
In America Latina il Brasile, recentemente a centro di uno scandalo proprio sul commercio di carne bovina, ha registrato esportazioni per 303.344 bovini vivi fra gennaio 2016 e marzo 2017. Verosimilmente ora ci si attende una decompressione dell'export, in attesa che si chiarisca tutta la vicenda e possano riprendere le normali attività di trade.

In Oceania è l'Australia a registrare i volumi più rilevanti nelle esportazioni di bovini. In 13 mesi (gennaio 2016-febbraio 2017) il paese dei canguri ha inviato oltre confine 1.241.197 capi, dalla Cina al Pakistan, da Taiwan alla Malesia e al Vietnam.
 

Il caso Italia

Fra gennaio 2016 e gennaio 2017 l'Italia ha esportato 45.217 capi. I picchi più alti nei primi due mesi del 2016, con buona probabilità a fronte delle pressioni causate dalla necessità di diminuire le produzioni di latte: 11.027 capi inviati all'estero nel primo bimestre dello scorso anno. A gennaio 2017, un'altra buona performance, con 5.029 bovini vivi esportati.

Se ci si focalizza sull'export delle manze da riproduzione, i principali paesi di esportazione sono la Svizzera, la Polonia, la Grecia e la Tunisia. Rotte del tutto rispettabili, ci mancherebbe, ma se si eccettua la Svizzera (i cui allevatori hanno una capacità di spesa superiore, per quanto il modello di allevamento sia tradizionalmente molto differente da quello della Pianura Padana e più simile alle aree alpine del nostro territorio), abbiamo a che fare con mercati con una inferiore capacità di spesa e con competitor diretti più forti, come può essere ad esempio la Francia nel Nord Africa, area che sta cercando di potenziare la propria attività allevatoriale.

Al contrario, l'Italia importa manze da riproduzione da paesi come la Francia, la Germania e l'Austria. Che non vendono certo ai prezzi applicati dagli allevatori e dai commercianti italiani quando esportano.