Focus su filiera: suini siano allevati e macellati in Italia
"Ci siamo intrattenuti, in particolare, sui problemi della filiera, in un momento di forti tensioni sul piano del mercato, della provenienza delle carni e delle esportazioni - ha detto Fava -. Oggi sia gli allevatori che l'industria di macellazione stanno attraversando una fase di difficoltà estrema e serve coesione per incentivare le filiere vincenti, partendo da un requisito essenziale e cioè che il suino sia quanto meno allevato e macellato in Italia, se non addirittura anche nato sul nostro territorio".
Urgono soluzioni per la Cun
Per l'assessore Fava, che nei giorni scorsi ha incontrato il presidente di Assosuini Elio Martinelli, "servono soluzioni al sistema della Cun, i cui listini non hanno da tempo alcuna corrispondenza reale col mercato". Quanto alla valorizzazione delle produzioni "è necessario trovare intese con la distribuzione - ha detto -, come avviene di norma in Francia o in Germania, dove la carne di provenienza nazionale è chiaramente individuata, per una forma di trasparenza verso il consumatore". Necessaria, dunque, "la realizzazione di una filiera al 100 per cento italiana".
Tavoli convocati a Milano
I macellatori saranno convocati a Palazzo Lombardia, a Milano, "visto che i tavoli tecnici romani non hanno partorito progetti in grado di valorizzare allo stesso tempo la carcassa e l'origine del prodotto" ha puntualizzato Fava. In una fase successiva, ma in tempi rapidi, "cercherò di raggiungere un'intesa con gli allevatori e la parte industriale - ha anticipato l'assessore -, in modo che si possa formalizzare un piano di azione da sottoporre alla Grande distribuzione organizzata".
Regionalizzare certificati per export
La visita oggi all'azienda Bertana, che macella dai 2.600 ai 3.500 maiali al giorno, con un'elevata specializzazione nella terza e quarta gamma, e ha una forte specializzazione sulle esportazioni, ha indotto l'assessore lombardo all'Agricoltura a sollecitare il Governo sulla certificazione delle produzioni. "Bertana ha un mercato fiorente, fra gli altri, in Giappone, ma sta faticando su altre rotte commerciali - ha spiegato Fava - e questo perché alcune destinazioni sono precluse per colpa di situazioni sanitarie irrisolte in Sardegna o nel Sud". "Bisogna arrivare a una regionalizzazione dei certificati per l'export - ha concluso -, perché per questi motivi perdiamo ogni anno dai 200 ai 300 milioni di euro".
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