Confagricoltura e Aisa Federchimica, consapevoli dell’importanza e dell’urgenza di prendere provvedimenti per ostacolare tale fenomeno, si sono impegnate a riunire un gruppo di esperti italiani che potesse fornire utili riflessioni sulle azioni da intraprendere. I risultati di questo studio sono stati presentati oggi Roma, nella sede di Confagricoltura, nel corso di una tavola rotonda a cui hanno partecipato Gianni Re, professore ordinario in farmacologia e tossicologia veterinaria Università di Torino; Chiara Durio, presidente Aisa; Simonetta Bonati, responsabile ufficio medicinali veterinari del ministero della salute; Agostino Macrì, responsabile sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Unione nazionale consumatori; Mario Guidi, presidente di Confagricoltura.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare gli allevatori ad un utilizzo “razionale" degli antibiotici e di indurre le istituzioni pubbliche ad intraprendere un percorso che guidi l’Italia ad optare per azioni utili alla salvaguardia dei propri cittadini, del proprio patrimonio zootecnico e della propria capacità produttiva.
Confagricoltura e Aisa Federchimica ritengono fondamentale per le nostre produzioni seguitare ad utilizzare gli antibiotici a disposizione, così da continuare a garantire la salute ed il benessere animale, la salubrità/qualità dei nostri prodotti di origine animale e la salvaguardia della salute dei consumatori, nonché degli operatori che sono a contatto con gli animali stessi.
Sono altresì convinti che la mera riduzione dell’utilizzo degli antimicrobici, basata su politiche di diminuzione dei quantitativi utilizzati, non abbia un impatto positivo per la soluzione del problema. Una limitazione, senza un criterio razionale, dell’utilizzo dei farmaci potrebbe portare a seri problemi sanitari negli allevamenti, che implicherebbero una diminuzione dell’efficacia terapeutica, un aumento di recidive con impostazione di ulteriori trattamenti e con conseguente aumento della mortalità. Ciò comporterebbe rilevanti danni economici, sanitari e di benessere animale, senza risolve la problematica della resistenza ai farmaci.
La scelta del trattamento deve portare al miglior risultato terapeutico, con il minore rischio di indurre antibiotico resistenza. Si deve quindi razionalizzare l’utilizzo dei farmaci tramite la corretta preparazione del medico veterinario, il supporto di una diagnosi precisa a cui deve seguire una terapia mirata, lo sviluppo di sistemi di biosicurezza ed igiene dell’allevamento per evitare il contatto con i patogeni, lo studio di indicatori per meglio valutare lo stato sanitario dell’allevamento e la messa in atto di azioni mirate per migliorarlo.
L’incontro ha avuto anche lo scopo di scindere la problematica dell’antibiotico resistenza da quella della presenza di residui di farmaci nei prodotti di origine animale, troppo spesso accomunate. In relazione a questo secondo aspetto, il rispetto dei tempi di sospensione da parte degli allevatori quando utilizzano un farmaco antimicrobico negli animali e i ferrei ed efficienti controlli del servizio sanitario sono un’assoluta garanzia per i consumatori italiani.
Di certo il mondo allevatoriale può solo in minima parte contribuire ad affrontare la problematica, visto che la selezione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici avviene nelle strutture ospedaliere e nell’utilizzo da parte dei cittadini. L’uso razionale deve essere necessariamente calato in un contesto di gestione sinergica dell’allevamento, in cui sia l’allevatore sia il veterinario sono chiamati a condividere la sanità della mandria attraverso un’ottimizzazione dell’efficienza delle strutture e del management degli animali.
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