In risposta alla domanda di un nostro lettore, analizziamo l'ennesima esagerazione che circola in rete: il bambù "salverà il mondo" perché sarebbe in grado di catturare fino a 443 tonnellate di carbonio per ettaro all'anno e questo permetterebbe alle aziende di compensare le proprie impronte di carbonio con "bambuseti certificati" di superficie minima e a coloro che investono in tale coltura di fare lauti guadagni.

 

Abbiamo già analizzato in diversi articoli, che è possibile trovare alla fine di questo, le esagerazioni e perfino le falsità che diverse aziende, consorzi e holding diffondono sul bambù, presentato come coltura miracolosa e in grado di generare guadagni senza fatica.

 

Il presunto business dei crediti di carbonio o l'ipotetica compensazione volontaria dell'impronta di carbonio aziendale mediante la piantumazione di bambuseti sono stati da sempre fra gli argomenti di vendita delle aziende proponenti. Eppure un'affermazione così eclatante quanto dubbiosa, 443 tonnellate di C per ettaro all'anno, non si era mai sentita. È biologicamente possibile una tale capacità di crescita?

 

Iniziamo la nostra analisi considerando che la biomassa del bambù gigante (Phyllostachys pubescens) è composta mediamente da 45% di C, 6% di H e 44% di O, il resto è azoto e ceneri (1). Ciò significa che, se l'affermazione dell'azienda proponente il business fosse vera, allora 1 ettaro di bambuseto dovrebbe produrre ogni anno 984 tonnellate di materia secca per ettaro. Per chiunque abbia qualche nozione di produzione agricola, è evidente che nessuna coltura potrebbe mai generare una tale quantità di biomassa. Poiché gli investitori su cui puntano i vari consorzi e i sedicenti "esperti" sono tipicamente il privato in cerca di far rendere i propri risparmi, o l'azienda che cerca di compensare la propria impronta di carbonio, le seguenti analisi sono dedicate a metterli in guardia.

 

Come prima misura, un potenziale investitore non deve mai basare le proprie decisioni su affermazioni carenti di prova e controprova. Parafrasando il celebre astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan, "affermazioni forti richiedono dimostrazioni altrettanto forti". Supponendo che i proponenti presentino un qualche studio a supporto delle loro affermazioni, bisogna analizzare se tale studio è stato commissionato dallo stesso proponente e dove è stato pubblicato, perché non sempre i paper sono attendibili. È importante sottolineare che, nel mondo scientifico, esistono pubblicazioni di serie A e B. Esistono perfino pubblicazioni "alternative", che hanno tutta l'apparenza dei giornali scientifici, dove chiunque può pubblicare qualsiasi cosa a pagamento, certo di trovare dei "revisori" che approveranno il testo senza alcuna richiesta di prove o integrazioni. La verifica della reputazione della fonte dei dati si chiama "criterio di autorità", in latino "ipse dixit", ma lo stesso costituisce solo un indizio, non una prova.

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Una ricerca pubblicata su giornali del calibro di Nature è certamente più attendibile di uno studio, anche universitario, ma pubblicato a pagamento su un giornale "open access". Ammesso e non concesso che le "prove" presentate abbiano un'origine ragionevolmente autorevole, lo scetticismo cartesiano esige ulteriori verifiche. Una pubblicazione scientifica può anche essere stata pubblicata in un giornale autorevole, ma ciò non garantisce che non contenga errori o inesattezze, prodotti anche in buona fede. Dal semplice errore tipografico (forse sono 44,3 tonnellate di C/ettaro.anno?) all'errore di estrapolazione (prove condotte in serra su una piccolissima superficie e poi estrapolate alla coltura in pieno campo), la possibilità di trovarsi davanti a un dato sbagliato esiste sempre.

 

Il secondo passo, l'unico scientificamente ineccepibile, è fare un bilancio di massa e/o energia. Quanta acqua e/o input agronomici sono necessari per produrre una tale quantità di biomassa? L'efficienza fotosintetica necessaria per convertire l'irraggiamento solare incidente in un anno in una tale quantità di biomassa è biologicamente possibile? Tipicamente, nessuna specie vegetale riesce a superare il 2% di efficienza fotosintetica in una coltura a pieno campo. Il limite termodinamico di efficienza fotosintetica è del 13%, con un massimo teorico, in condizioni di laboratorio, del 9% (2). L'efficienza massima delle piante C4 (cereali, soia e lo stesso bambù) in colture a pieno campo, in condizioni molto favorevoli, non supera il 4%, con un valore tipico attorno all'1% (3).

 

Facciamo i calcoli per il nostro caso. Supponiamo di voler coltivare il bambù in Sicilia, che è la regione con il massimo irraggiamento solare, ipoteticamente a Siracusa. Dal Global Solar Atlas della Banca Mondiale ricaviamo che l'irraggiamento globale al suolo è pari a 1.770,6 kWh/anno.m2. Ciò vuol dire che 1 ettaro integramente coperto (senza nemmeno zone di passaggio per i mezzi agricoli) riceve in un anno 17.706 MWh di energia radiante. Supponiamo che sia vero che una coltura di bambù in quella località possa accumulare 443 tonnellate di carbonio, ovvero 984 tonnellate di sostanza secca (SS) in un anno. Il Potere Calorifico Superiore (PCS) della biomassa di bambù va da 17 a 21 MJ/kg SS (4), ovvero 4,72-5,83 MWh/tonnellata SS. Osservare che abbiamo considerato il Potere Calorifico Superiore perché ci interessa calcolare l'energia totale contenuta nella biomassa, a prescindere dalla sua efficienza di combustione. L'energia minima che 1 ettaro di bambù sarebbe ipoteticamente in grado di accumulare nella biomassa, in un anno, è dunque: 5,83 x 984 = 5.737 MWh. L'efficienza di conversione fotosintetica è semplicemente il quoziente moltiplicato per 100:

 

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Il risultato così ottenuto è un tipico esempio del metodo di ragionamento noto ai filosofi antichi come "reductio ad absurdum", riduzione per assurdo.

 

In altre parole, il metodo consiste in:

  • assumere come vere le affermazioni dei proponenti (in questo esempio, quelli del business della cattura di carbonio con il bambù);
  • basandoci su altri dati che sappiamo essere rigorosamente veri (nel nostro esempio, composizione chimica della biomassa, irraggiamento nel posto più soleggiato d'Italia, PCS della biomassa), verificare a quale conclusione si arriva (in questo esempio, quale sia l'efficienza fotosintetica risultante dall'ipotesi);
  • se i calcoli danno un risultato palesemente falso, allora l'ipotesi di partenza è falsa. Nel nostro esempio, l'efficienza fotosintetica necessaria per produrre una quantità di biomassa coerente con l'affermazione di 443 tonnellate di carbonio catturato all'anno, risulta addirittura oltre il doppio di quella teorica riconosciuta nella letteratura scientifica. Quindi l'ipotesi delle 443 tonnellate di carbonio annuali per ettaro è falsa.

 

Per coloro che nutrono ancora dubbi, ripetiamo il ragionamento con una coltura nota ai più e di cui esistono dati verificabili da tutti: il mais in una località generica del Veneto.

 

Secondo l'esperienza comune, la resa in biomassa fresca del mais in Veneto può arrivare fino a 60 tonnellate/ettaro in stagioni molto favorevoli e con il corretto dosaggio di fertilizzanti e irrigazione. La SS al momento del raccolto è di circa il 35%. Secondo il Global Solar Atlas, l'energia solare totale sul piano orizzontale tra aprile e settembre (il periodo di crescita del mais) per una generica località in provincia di Venezia è di 0,905 MWh/m2. Il PCS della biomassa di mais, come tutte le biomasse erbacee, è di circa 5 MWh/tonnellata SS. Pertanto, l'efficienza fotosintetica della produzione di biomassa di mais è:

 

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Valore perfettamente in linea con quello di qualsiasi altra coltura in pieno campo.

 

E se l'affermazione postata e ripostata più volte in LinkedIn fosse solo frutto di un errore tipografico? E se fossero solo 44,3 tonnellate di carbonio per ettaro e anno? In tale caso, l'efficienza fotosintetica risultante sarebbe del 3,2%. Fattibile, ma comunque dubbiosa.

 

Come regola pratica, efficienze fotosintetiche dell'ordine del 2% sono fattibili ma piuttosto ottimistiche (annate molto miti, assenza di stress idrico, input agronomici ben dosati e applicati al momento giusto, assenza di avversità). Affermazioni di rese in biomassa che implichino un'efficienza fotosintetica maggiore del 2%, seppur teoricamente possibili, sono da considerare poco realistiche e inaccettabili per la redazione di un business plan agricolo, qualunque sia la coltura di cui si tratti.

 

Per la cronaca, e con le dovute cautele con cui vanno presi i dati da fonti bibliografiche, la produzione di biomassa di bambù Moso (Phyllostachys pubescens) nelle regioni subtropicali piovose della Cina, in piantagioni gestite da agronomi esperti in tale coltura, è di circa 60 tonnellate SS/ettaro.anno (80 tonnellate di SS se contiamo anche la biomassa dei rizomi, che però non vanno asportati per assicurare la ricrescita).

 

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Bibliografia

(1) Rusch, Fernando & Wastowski, Arci & Lira, Taisa & Moreira, Kelly & Lúcio, Danielle. (2021). Description of the component properties of species of bamboo: a review. Biomass Conversion and Biorefinery. 13.

(2) Bolton, J.R. and Hall, D.O. (1991), The Maximum Efficiency of Photosynthesis*. Photochemistry and Photobiology, 53: 545-548.

(3) Vijayalaxmi Kinhal, articolo divulgativo contenente link a pubblicazioni scientifiche, CID Bioscience, April 28, 2025.

(4) An Ha Truong, Thi My Anh Le. Overview of bamboo biomass for energy production. 2014.