Nel documento Ue si parla in effetti di "dealcolazione", che tradotto significa allungare il vino con l'acqua nella prima fase di produzione. Cioè, annacquare il vino, come si vede fare qualche volta a tavola mescolando direttamente nel bicchiere i due liquidi. Soltanto che ora potrebbe diventare una regola da rispettare prima che il vino venga imbottigliato.
E' chiaro il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli: quello annacquato non può chiamarsi vino. "Ciascuno può produrre quello che vuole, basta che non lo chiami vino perché quello non è vino - osserva Patuanelli in audizione parlamentare - questa è la posizione del nostro Paese, siamo preoccupati dalle posizioni di altri che invece dovrebbero difendere insieme a noi le caratteristiche pregiate delle produzioni vinicole europee. Mi riferisco alla Francia che sembra non opporsi a questo scempio".
La polemica si è alzata in breve tempo di tono. Una fiammata su cui tutti sono intervenuti, nonostante la pratica sia inserita in un più ampio pacchetto - quello sulla riforma della Politica agricola comune (Pac), e in particolare del regolamento Ocm 1308/1013, l'Organizzazione comune di mercato - e che alla fine non dovrebbe sortire effetti reali (viste anche le reazioni che ha prodotto). La proposta delle istituzioni europee - che si trascina già dal 2018 - punta formalmente ad armonizzare le definizioni dei prodotti a basso tenore alcolico nell'ambito della riforma della Pac cercando di conservare queste categorie nell'ambito dedicato del regolamento Ocm.
La posizione della filiera vitivinicola (Alleanza delle cooperative italiane, Assoenologi, Cia, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini e Unione italiana vini) è espressa chiaramente in una lettera al ministro delle Politiche agricole: una ferma contrarietà in particolare per i vini a Denominazione di origine protetta e a Indicazione geografica protetta, perché il prodotto non avrebbe i requisiti richiesti per essere una Dop o una Igp. Inoltre viene fatto presente il rischio di penalizzare il prodotto nella percezione dei consumatori. Per queste organizzazioni è importante mettere in campo ogni azione possibile per assicurare che la futura regolamentazione europea sia in linea con le aspettative del settore vitivinicolo preservando però gli elementi di qualità e competitività: il che vuol dire che i prodotti totalmente dealcolati dovrebbero contemplare il termine di "bevanda" al posto di "vino", classificandoli come nuove categorie e non come termini che accompagnino le categorie esistenti.
Secondo Coldiretti, qualora questa proposta dovesse andare in porto, sarebbe inflitto un duro colpo all'impresa vinicola italiana e al mercato del vino europeo. Intermedia la posizione dell'Unione vini italiani (Uiv): "Il mercato dei vini dealcolati è notevole: il 70% dei consumatori nel mondo non beve alcolici e su questa nuova categoria di prodotti registriamo una forte vivacità della domanda. Penso che sia arrivato il momento di fare un salto di qualità, uscendo dai binari emotivi che si sono venuti a creare anche a causa della falsa notizia legata all'aggiunta di acqua. Il punto è: vogliamo che questa categoria rimanga nel perimetro del nostro settore o che venga lasciata in mano all'industria delle bevande?".
L'Uiv pensa perciò che, "se ben regolamentata, questa possa essere un'opportunità per valorizzare i vini comuni, che spesso rimangono in eccedenza in cantina". Nonostante questa apertura, resta la "contrarietà alla dealcolazione totale di Dop e Igp. Le Doc peraltro sarebbero comunque tutelate dai disciplinari e non subirebbero imposizioni dall'alto perché nessuno obbligherà i produttori Dop e Igp a fare vino dealcolato".
La richiesta è che "questa categoria possa rimanere nel settore, ma con regole specifiche chiare a tutela delle imprese e dei consumatori". Per questo per l'Uiv "le polemiche sul vino dealcolato sono speciose; chiederemo un incontro urgente al ministro Patuanelli".
Per Patuanelli "il settore vinicolo continuerà a mantenere l'Ocm anche nella prossima Pac, non era così scontato. Così come un budget dedicato, seppure ridimensionato, che ammonta a 323 milioni l'anno fino al 2027. L'Italia si conferma primo Paese beneficiario del sostegno Ue per quanto riguarda il comparto vitivinicolo europeo".
In una prospettiva più ampia sul tavolo ci sono i temi della Pac post 2020, i fondi di sostegno, le produzioni dealcolate, i diritti di impianto, e il Nutriscore, l'etichetta a semaforo su cui resta il veto italiano. "Il settore vitivinicolo è certamente uno dei più rilevanti e dinamici all'interno del panorama agroalimentare italiano - conclude Patuanelli - il nostro Paese è il primo produttore mondiale di vino, il primo esportatore in volume e per quanto riguarda invece i dati in valore la cifra record di 6,4 miliardi nel 2019 conferma l'Italia al secondo posto saldamente solo dopo la Francia con cui ci sfidiamo costantemente su volumi e valori. Il vino rappresenta la prima voce del commercio estero agroalimentare italiano e il nostro Paese è il primo in Europa per numero di prodotti a denominazione".