Secondo i dati di Food industry monitor, a fronte del risicato 1% in più del Prodotto interno lordo italiano del 2018, lo sviluppo del settore agroalimentare del Bel Paese è stato pari al +3,1%.
E si dovrebbe crescere con tassi più o meno eguali anche nei prossimi due anni.
Alla grande quindi settori quali i distillati, le farine e il vino; bene anche i dolci, la birra e la pasta. In tutti questi settori la Redditività del capitale investito ha sempre valori molto positivi e per il 2019, nel comparto, si prevede il 10%.
L'analisi ha interessato i dati economici prodotti da 823 società di capitali operanti nel settore e pare che i fattori chiave del successo siano tradizione, processi artigianali di lavorazione e materie prime del territorio. E' ovviamente su quest'ultimo fattore che ci vogliamo soffermare.
Il domandone è: cosa rimane agli agricoltori di questa bella performance? Senza agricoltori non si fa il buon cibo italiano; senza una materia prima di alta qualità non si fa il buon cibo italiano e senza un bel territorio (curato bene dagli agricoltori) non si promuove il cibo italiano.
Ci pare dunque giusto che qualche cosa agli agricoltori rimanga. Che l'industria non pecchi di avidità e cerchi zucchero italiano, grano italiano, malto italiano. Non è sciovinismo: è buon senso.