“E’ sicuramente un buon inizio – ha sottolineato Carlo Gherardi, ceo di Crif – E' fondamentale mettere insieme a fattore comune le forze, le competenze e in questo caso anche le azioni concrete. Agrifood Monitor è l’esempio che si può fare sistema”.
“Nomisma già alla fine degli anni ’80 aveva iniziato a occuparsi di agricoltura con alcune indagini sul mondo ortofrutticolo – ha precisato il presidente di Nomisma Piero Gnudi – Man mano l’agricoltura ha preso sempre più piede e ora il settore riveste un ruolo fondamentale per la nostra economia. Non posso quindi che plaudere a questa iniziativa fra Crif e Nomisma, al servizio delle imprese che puntano sull’export e sui mercati internazionali”.
“Il settore agroalimentare fa parte del dna di Nomisma – ha invece ricordato Andrea Goldstein, managing director della società di studi economici bolognese – Con questa nuova piattaforma andiamo ad analizzare tutte i principali settori legati alla filiera, dai mercati alle tendenze dei consumatori, passando per le macchine per il packaging. Per quanto riguarda la produzione, ci focalizziamo sui prodotti a maggior valore aggiunto. Fondamentale importanza la riveste l’internazionalizzazione”.
“Se vogliamo raggiungere i 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 – ha continuato Goldstein – è necessario investire sui mercati più appetibili e maggiormente in crescita, come quelli asiatici. Stando all’andamento attuale e allo scenario economico in atto, i 50 miliardi di euro di giro d’affari per l’export agroalimentare made in Italy potremmo raggiungerli solo nel 2024. Per accrescere le esportazioni, servono strumenti pubblici ad hoc, occorre investire in e-commerce e maggiori investimenti per l’innovazione dei processi produttivi”.
A Denis Pantini, responsabile area agroalimentare di Nomisma, è stato affidato invece il compito di presentare nel merito Agrifood Monitor, con un focus specializzato sul mercato Uk e degli Emirati Arabi Uniti. “Questa piattaforma nasce per comprendere le dinamiche di mercato sia a livello nazionale che a livello internazionale e si rivolge alle imprese della filiera agroindustriale allargata, a supporto delle stesse aziende alle prese con progetti e iniziative di internazionalizzazione. Veniamo da una recessione di sette anni, che ha rivoluzionato gli stili di consumo delle persone, portandole a una stile più sano, con più frutta e verdura, e biologico. Dopo un piccolo recupero sul mercato interno nel 2015, i primi mesi del 2016 mostrano un nuovo arretramento, e questo non è certamente un bel segnale”.
Pantini analizza poi i survey realizzati sui mercati Uk ed Emirati Arabi Uniti. “Quest’ultimo, in particolare – ha precisato – il reddito pro capite è in forte crescita e la quota dei prodotti made in Italy è ancora inferiore al 3%. Ci sono ampi margini di miglioramento”.
“Il mercato Uk vale per il nostro agroalimentare 3,2 miliardi di euro – ha concluso Pantini – bisogna verificare come e quanto inciderà la Brexit, ma sicuramente il forte nome del made in Italy sarà importante per consolidare questo mercato, dove si è molto attenti al prezzo e anche alla qualità”.