Sul registro degli indagati erano stati iscritti per frode in commercio i rappresentanti legali di Carapelli, Bertolli, Santa Sabina, Coricelli, Sasso, Primadonna e Antica Badia.
Sulla base di questa nuova ipotesi, che si aggiunge alla frode in commercio, la procura della Repubblica torinese – come già preannunciato ieri dal procuratore capo, Antonio Spataro - ha disposto il trasferimento dell'inchiesta alle procure di Firenze, Genova, Spoleto e Velletri. Si tratta degli uffici giudiziari competenti per territorio rispetto alla sede operativa delle sette aziende olearie oggetto dell'inchiesta.
A proposito di una delle imprese oggetto dell’indagine del Nas e finita nel mirino della procura torinese, la “Santa Sabina”, il Consorzio di tutela dell'olio extravergine di oliva a denominazione di origine protetta Sabina da Rieti fa sapere: “Riteniamo doveroso precisare - qualora potesse esservi qualche dubbio - che il marchio commerciale "Santa Sabina" non ha assolutamente nulla a che fare con noi e che l'utilizzo da parte dell'azienda che ne è proprietaria della denominazione riservata per legge solo ai produttori certificati Sabina Dop, dipende solo da una questione burocratica che, come spesso accade, danneggia il lavoro serio e scrupoloso dei quasi mille produttori che appartengono alla filiera produttiva certificata Sabina Dop”.
Dalla Puglia, una delle regioni dove si produce il grosso dell’extravergine italiano, si leva la vibrata protesta di Confagricoltura Taranto, che sta pensando di costituirsi parte civile nei procedimenti che dovessero nascere dall’inchiesta sull'olio nata a Torino.
“Lo scandalo del normale olio d’oliva venduto per extravergine ha fatto molte vittime: i consumatori e i produttori olivicoli, il made in Italy e, soprattutto, il made in Puglia”. Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, interviene così sulla bufera giudiziaria nella quale è finito l’olio di oliva, ricordando: ”E’ qui da noi che si produce circa il 40 per cento dell’olio d’oliva italiano”.
“L’inganno svelato – spiega Lazzàro – è doppio, sia perché viene “spacciato” in etichetta olio di qualità inferiore ad un prezzo maggiorato, sia perché troppo spesso – dal nostro punto di vista – sono i produttori di olio extravergine ad essere penalizzati da prezzi iniqui che, al contrario, sono troppo bassi per remunerare il lavoro di chi produce trasparenza, tracciabilità e qualità certificata. Ed è su questo versante, crediamo, che bisogna far chiarezza e giustizia da parte delle istituzioni preposte e anche per quanto compete alla grande distribuzione organizzata, che non può semplicemente far finta di nulla. L’allarme su questi temi suona da sempre, ma ora qualcuno vi ha dato ascolto”.
Per Confagricoltura, infatti, l’inchiesta ha il merito di aver acceso le luci su un problema molto più vasto: “I consumatori devono essere consapevoli che comprare un olio d’oliva a 3-4 euro non è ragionevole ed è anche rischioso, mentre è corretto spendere 6-7 euro al litro. Il prezzo è un fattore determinante per acquistare l’extravergine e chi vuol spendere meno compra, evidentemente, un altro prodotto: ammesso che lo sappia”.
“Consumatori e produttori in questa battaglia stanno dalla stessa parte. Ed è per questo – conclude Lazzàro – che bisognerà valutare l’opportunità di tutelare gli agricoltori nelle sedi opportune, a difesa del lavoro e dell’immagine di chi ogni giorno fa del suo meglio per produrre olio extravergine al di sopra di ogni sospetto”.
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Autore: Mimmo Pelagalli