Si tratta di un momento “cruciale” per il sistema agroindustriale italiano, stretto tra una crisi economica interna e un contesto internazionale in forte sviluppo, sia per quanto riguarda la pressione competitiva delle imprese concorrenti che per la forte crescita dei consumi alimentari delle popolazioni straniere. ln questo quadro, la filiera alimentare rappresenta un vero e proprio asset per l’Italia: con un valore aggiunto prossimo ai 120 miliardi di euro, l’intera filiera rappresenta l’8,7% del Prodotto Interno Lordo (Pil) nazionale. Purtroppo, all’interno della filiera, l’anello più debole è rappresentato dall’agricoltura. Le motivazioni alla base di tale debolezza sono diverse e soprattutto di natura strutturale.
La forte polverizzazione che contraddistingue l’agricoltura italiana, assieme alla scarsa concentrazione e organizzazione produttiva e commerciale, riducono il potere contrattuale degli agricoltori all’interno della filiera e nei confronti dei diretti interlocutori (industria e distribuzione). Un confronto con i competitor europei permette di capire quale sia la reale distanza tra il tessuto produttivo agricolo italiano e quello di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Il valore medio della produzione italiana (26.000 euro) è, infatti, poco più della metà del valore spagnolo (40.000 euro) e sensibilmente inferiore a quello di Regno Unito, Francia e Germania. Gli effetti di questi punti di debolezza dell'agricoltura nazionale sono facilmente riscontrabili nell’andamento del reddito delle imprese agricole.
L’Italia presenta un trend decrescente del reddito agricolo anche negli anni in cui i prezzi alimentari sono in aumento. Seppure in misura minore, anche le imprese alimentari italiane appaiono sottodimensionate rispetto alle aziende europee, sia in termini di valore della produzione che di numero di occupati per impresa. Anche in questo caso, la ridotta presenza di imprese più strutturate rappresenta un limite evidente nella capacità di internazionalizzazione dell’industria alimentare italiana. Si pensi infatti che, pur a fronte di una crescita nelle esportazioni di quasi il 70% in dieci anni (nel 2012 il valore dell’export alimentare italiano si è avvicinato ai 32 miliardi di euro), la propensione all’export dell'industria alimentare italiana è inferiore a quella dei principali competitor europei.
Con la definitiva approvazione della nuova Pac, il sistema agricolo europeo e italiano si appresta ad iniziare un nuovo settennato di programmazione (fino al 2020) con nuove risorse e strumenti per affrontare le numerose e molteplici sfide che attendono le imprese e che derivano da uno scenario mondiale radicalmente cambiato e in continua evoluzione. L’Italia dovrà utilizzare gli aiuti soprattutto per riorganizzare la propria agricoltura in modo da sfruttarne tutte le sue potenzialità e soprattutto per ridistribuire equamente i redditi all’interno della filiera, come ha ribadito a conclusione dell’intervento di De Castro anche il presidente Franco Scaramuzzi.
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Fonte: Accademia dei Georgofili