Brutto segno. La Cun, la commissione unica centrale “inventata” per dare trasparenza al mercato dei suini, ha chiuso la seduta del 3 maggio con un altro “nq”, non quotato. E quando fra produttori e trasformatori non si arriva a stabilire un prezzo, significa che il mercato è in affanno. Non a caso le ultime quotazioni, specie per i suini pesanti, quelli che forniscono i preziosi prosciutti per il circuito tutelato dei Dop, sono in flessione. Uno sguardo al mercato di Reggio Emilia e a quello di Modena per verificare che a fine aprile il prezzo dei suini di oltre 150 kg di peso vivo faticava a raggiungere quota, 1,30 euro al chilogrammo. Una miseria. E non andava tanto meglio nemmeno nelle settimane precedenti, con le quotazioni che da gennaio non hanno mai smesso di flettere. Come se non bastasse, il mercato della soia e quello del mais, tra i principali “ingredienti” della alimentazione, stanno schizzando verso l'alto. Un “mix” esplosivo, capace di togliere ogni velleità di chiudere in positivo il bilancio degli allevamenti di suini. E poco conta il ricordare che un anno fa andava persino peggio di così.

 

Redditività in calo

La pesantezza della situazione è puntualmente registrata dall'analisi che il Crefis, il centro ricerche economiche sulle filiere suinicole dell'università di Piacenza, ha pubblicato nel suo primo rapporto trimestrale del 2012. Avvalendosi di una serie di parametri economici messi a punto per valutare la redditività dell'allevamento suino, il Crefis ha calcolato che nei primi tre mesi del 2012 la redditività degli allevamenti è diminuita del 3,7%. Colpa della flessione dei prezzi e dell'aumento delle materie prime, come detto. Ma se va male per gli allevamenti italiani, ben diversa è la situazione per i suinicoltori degli altri paesi della Ue, dove l'indice di redditività è al contrario aumentato in media dell' 8,2%. Meglio di tutti la Germania, che è uno dei principali fornitori (31,6% in quantità) di carni suine all'Italia. E non è difficile immaginare che questi buoni risultati siano proprio merito dell'export verso la Penisola, dove al contrario queste importazioni condizionano pesantemente il mercato interno. Nel 2011, ricorda l'associazione degli allevatori di suini (Anas), le importazioni di suini hanno continuato nel loro trend di crescita per un totale di oltre un milione di tonnellate, corrispondenti ad un valore di oltre 2 miliardi di euro (+5,5% rispetto al 2010). Un aumento dell'import che ha coinciso con la contrazione della produzione nazionale che sotto i colpi della crisi del settore è calata del 5,2%, fermandosi a 12,2 milioni di capi suini.

 

Il difficile equilibrio

Se non ci sarà un'inversione di tendenza del mercato interno, è facile prevedere che altri allevamenti saranno costretti a chiudere o a ridurre il carico di bestiame. Una minor produzione potrebbe in compenso ridare tonicità al mercato, ma come già avvenuto, i posti lasciati vuoti potrebbero essere riempiti dalle importazioni, e saremmo daccapo. Un aiuto potrebbe arrivare dalle esportazioni, purché continui anche nel 2012 la crescita registrata lo scorso anno. I volumi di carni suine esportati, secondo le stime di Anas, sfiorano le 314 mila tonnellate, con un più 6,6% rispetto all'anno precedente. L’export contribuisce dunque a snellire in misura sensibile un mercato appesantito dal calo dei consumi, sceso a 2,3 milioni di tonnellate, che si traduce in un meno 2,1% nei consumi pro-capite.

 

Uno sguardo oltre frontiera

Altro elemento da prendere in esame è la tendenza del mercato negli altri paesi Ue, dai quali arriva la quasi totalità del nostro import. Le analisi del Crefis evidenziano una flessione delle quotazioni del suino leggero nei principali paesi fornitori dell'Italia. Il che si traduce in un vantaggio per il prodotto di importazione. Ma in Germania, che è il nostro principale fornitore, i prezzi del suino leggero (la produzione del suino pesante è una “specialità” italiana) continuano ad essere elevati (1,581 euro/kg in media), sebbene anch'essi in flessione.

 

Le prospettive

Questo lo scenario, e come sempre fare previsioni è esercizio difficile. L'approssimarsi del periodo estivo, con il suo fisiologico calo dei consumi di prodotti suinicoli, non lascia grande apertura all'ottimismo. Molto dipenderà poi dall'atteggiamento che vorranno assumere le industrie di trasformazione, che oggi beneficiano di un miglior rapporto fra costi e ricavi, grazie ai bassi prezzi del suino pesante. Ma che sono altresì consapevoli che il successo della salumeria italiana è figlio dell'eccellenza della nostra suinicoltura pesante. Senza di questa, addio a prosciutti e salumi Dop. E addio ai ricavi.