E' durata poco la luna di miele fra gli allevatori di conigli e il mercato. Reduce da un 2007 contrassegnato da una lunga crisi, con prezzi che non arrivavano nemmeno a coprire le spese di produzione, i coniglicoltori avevano salutato con ottimismo la ripresa delle quotazioni che si era registrata fra marzo e aprile. Sulle principali borse di contrattazione. Forlì e Verona in particolare, le quotazioni erano arrivate a sfiorare quota 1,90 euro per kg di peso vivo. Niente di eccezionale, appena qualche centesimo in più rispetto ai costi di produzione, calcolati in circa 1,80 euro per chilo, ma quanto bastava a ritenere il peggio dietro alle spalle. Poi i prezzi hanno invertito la tendenza e lentamente si sono portati a poco più di 1,5 euro. L'approssimarsi del periodo estivo, che coincide con un calo dei consumi e una discesa dei prezzi, lascia poche speranze per un recupero. E ci si interroga sul destino di questo settore, che ha ormai esaurito le risorse per reggere al prolungarsi della crisi. A rischio sono 1600 allevamenti intensivi, dai quali esce ogni anno un quantitativo di carne valutato in 93milioni di euro.
Richiesto lo stato di crisi
A lanciare il grido di allarme è il Veneto, dove si stima siano allevate circa 500mila fattrici, dalle quali giunge il 40% di tutta la produzione cunicola italiana. Già a inizio anno in questa Regione era stato richiesto lo stato di crisi del settore da parte di Coniglio Veneto che fa parte di Avitalia. Una richiesta che ora andrà reiterata e alla quale fa eco l'analoga richiesta presentata dalla Regione Piemonte. Come ha ricordato l'assessore regionale all'agricoltura, Mino Tarocco, la giunta regionale ha già deliberato la decisione di avanzare richiesta al Mipaaf affinché siano attivati gli strumenti di tutela del settore.
A questi appelli si aggiunge anche quello della Coldiretti, secondo la quale il settore cunicolo rappresenta "un patrimonio a rischio di estinzione per la chiusura degli allevamenti che hanno dovuto fronteggiare aumenti record dei mangimi e dei carburanti con costi di produzione superiori ai prezzi di vendita che nel 2007 sono stati in media alla stalla di 1,45 euro al chilo provocando una perdita di circa 0,30 euro per chilogrammo di coniglio vivo prodotto."
Una crisi che invita a riflettere
Sin qui alcune delle reazioni che la crisi ha suscitato fra chi ha responsabilità nei confronti di questo settore. Ma questa lunga crisi che si protrae ormai da 18 mesi se si fa eccezione del leggero recupero dei mesi scorsi, deve indurre qualche riflessione. Anzitutto sulle cause che l'hanno determinata e che una volta tanto non vedono sul banco degli imputati le importazioni. Il settore, infatti, è autosufficiente e per giunta il prodotto straniero, francese e spagnolo in particolare, viaggia su quotazioni superiori alle nostre. Una situazione ben diversa rispetto alla crisi che imperversa sul settore suinicolo. Dove però ci si dà da fare per organizzare la produzione in funzione delle attese del mercato, pensando alle possibilità di assorbimento del prodotto da parte del consumatore. E gli esempi potrebbero continuare con le attività di programmazione della produzione che vengono fatte dai consorzi del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano. Anche per loro è tempo di crisi, ma certo meno acuta di quanto accadrebbe lasciando il settore in balia di se stesso.
Una lezione da apprendere
E' tempo che anche la coniglicoltura impari la lezione. Il settore ha raggiunto la "maturità" ed è ora che sappia darsi strumenti organizzativi efficaci. Perché in un settore che può vantare l'autosufficienza, basta produrre qualche tonnellata di troppo per mandare i mercati in tilt. La lezione, ormai, dovrebbe essere del tutto compresa.