In Europa si allevano 100 milioni di pecore, nove solo in Italia. In totale si producono 200mila tonnellate di lana di scarto. Un team di ricercatori, coordinati da Claudio Tonin, del Cnr - Ismac, ha messo a punto un sistema per trasformare la lana in un fertilizzante.

Professor Tonin, che cos'è il progetto GreenWoolf?
“Ogni anno in Italia e in Europa si producono migliaia di tonnellate di lana che non hanno un utilizzo commerciale e per questo vengono conferite in discarica, se non bruciate o smaltite illegalmente. Il mio team ha sviluppato un sistema per trasformare la lana in concime”.

Chi ha partecipato al progetto?
“Abbiamo ricevuto un finanziamento dall'Unione europea tramite i fondi Life. Con noi lavora il dipartimento di scienza applicata e tecnologia del Politecnico di Torino e l'azienda meccanotessile Obem di Biella”.

Come funziona il processo di trasformazione della lana in fertilizzante?
“La lana non commerciale viene inserita in un macchinario che utilizza vapore saturo a 180 gradi per trasformare il vello in un idrolizzato proteico utile come fertilizzante”.

Quali sono le caratteristiche di questo concime?
“Come dimostrato da ricerche effettuate dal Politecnico di Torino si tratta di un biostimolante. Inoltre la lana sucida, non lavata, è ricca di nutrienti che sono rilasciati lentamente nel terreno. Contiene elementi come carbonio (50%), azoto (16-17%) e zolfo (3-4%) che giocano un ruolo essenziale nella nutrizione delle piante”.

Perché un allevatore dovrebbe impiegare questo sistema?
“Chi alleva pecore da carne o da latte deve tosare gli animali ogni anno ad un costo di due euro a capo. Se riesce a vendere la lana a 30 centesimi è fortunato, ma perde comunque 1,7 euro a pecora. Se invece deve portare tutto in discarica deve pagare il trasporto, considerato speciale, e lo smaltimento. Invece convertendo la lana in un fertilizzante può addirittura guadagnarci”.

Quali son i numeri del settore?
“In Europa si producono circa 200mila tonnellate di lana di scarto all'anno. Se dovessimo convertirla in fertilizzante servirebbero 800 impianti da 100 chili di capacità ognuno. La Banca europea per gli investimenti si è resa disponibile a finanziare gli allevatori a tassi agevolati. Questo creerebbe posti di lavoro e ricadute positive per l'economia”.

Gli impianti sono economicamente sostenibili?
“Un macchinario piccolo, da 100 chili di capacità, che non richiede tecnici specializzati, si ripaga in due anni con un prezzo di vendita del fertilizzante a 50 centesimi al chilo”.

Un prezzo non basso...
“Ci sono fertilizzanti in commercio, che contengono lana, che sono venduti a prezzi ben più alti”.

Chi alleva pecore però non è detto che sia in grado di gestire questi processi e questo tipo di commercio, no?
“Certamente. Infatti l'idea è che più allevatori si consorzino per acquistare le macchine e vendere i fertilizzanti ad intermediari”.

Il fertilizzante che esce dai vostri impianti è certificato?
“Stiamo facendo tutte le procedure per essere certificati. Abbiamo già fatto le prove in laboratorio e ora siamo passati a quelle in campo sulla vite, sui frutti di bosco e sulla patata”.

In che forma si presenta questo fertilizzante?
“Tutto dipende dalla lunghezza del processo di idrolisi. Se dura un'ora abbiamo un liquido pastoso, simile al miele, che poi viene impastato con un inerte vegetale e pellettizzato. Oppure se insistiamo con l'idrolisi un'altra mezz'ora otteniamo un liquido”.  


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