La definizione di organizzazione agricola maggiormente rappresentativa, richiamata nel recente ddl sulla semplificazione per il settore agricolo, è almeno parzialmente fuorviante e dovrebbe essere oggetto di un doveroso ripensamento”.

A dirlo è il presidente di Confai, Leonardo Bolis, commentando il profilo di associazione agricola tracciato dall’articolo 4 del disegno di legge per la semplificazione in agricoltura, collegato alla legge di stabilità.

 Intervenendo in materia di stipula di contratti agrari, l’articolo in questione richiama la legge che regola la materia – la n. 203 del 1982 – chiarendo che si considerano organizzazioni agricole maggiormente rappresentative quelle rappresentate direttamente in seno al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Pur premettendo che non si tratta di una questione di primaria importanza per il futuro del settore – precisa Enzo Cattaneo, capo segretaria di presidenza di Confai - non possiamo tralasciare di notare la natura quanto meno bizzarra del criterio scelto. Riteniamo infatti che il peso rappresentativo di un’organizzazione nasca innanzitutto dalla sua presenza sul territorio e dalla sua capacità di rispondere in maniera puntuale alle esigenze della propria categoria di riferimento, come del resto già osservato tempo fa dalla stessa Confagricoltura”.

 “Ciò che peraltro disorienta – fa notare Sandro Cappellini, coordinatore nazionale di Confai – è il carattere anacronistico della discussione, generata da un ddl per altri versi orientato a promuovere la competitività del settore. Stiamo parlando di una norma di oltre trent’anni fa, che riteneva necessaria l’assistenza delle parti sindacali per rendere gli agricoltori firmatari dei contratti pienamente edotti del contenuto degli stessi. Posto che in quell’epoca ve ne fosse ancora l’esigenza, oggigiorno ci troviamo di fronte ad una classe di imprenditori agricoli con livelli di preparazione e professionalità tali da rendere per lo più superflua l’assistenza sindacale su questioni di routine”.