In una sua bella pagina ne Il diavolo a Pontelungo, Riccardo Bacchelli racconta della tradizione di gentilezza e di pace espressa dai cipressi piantati sulle colline bolognesi. Il gesto del piantare un cipresso su di un poggio era allora retaggio dei contadini - un gesto gentile, squisitamente estetico - non certo utilitaristico. Un gesto che rivelava un differente rapporto con l'ambiente e il territorio e una ben precisa cognizione del paesaggio, inteso come bene comune ed espressione di un'identità culturale.


Il paesaggio agricolo del nostro Paese ha rappresentato una delle meraviglie raccontate dalle decine di viaggiatori illustri che intraprendevano il Grand Tour - da Goethe a Thomas Jefferson - rimanendo un'attrazione anche successivamente e fino ai giorni nostri, in cui tanti territori italiani mantengono una formidabile rinomanza internazionale. Una rinomanza dovuta alla bellezza del paesaggio agricolo o ancora alla mirabile integrazione di questo con il paesaggio naturale oltre che alla stratificazione storica e culturale, risultato della molteplicità delle impronte che tante civiltà hanno impresso.


Bisogna tuttavia tristemente rilevare come quel cosciente gesto di creazione di un paesaggio di cui si è detto in apertura sia sempre più raro. Alla scarsa consapevolezza di cittadini e amministratori - finanche degli agricoltori, si affianca un'endemica pratica di distruzione del paesaggio: tutti i protagonisti piegati alla comune pratica di sfruttamento dei territori al fine di estrarre mero valore economico e non valore comunitario, culturale, sociale, estetico. 

 

Oggi siamo purtroppo ben distanti dal concepire il paesaggio - tanto meno il paesaggio agricolo - quale bene comune e bene estetico, questo nonostante che la nostra Costituzione esprima un forte impegno in tal senso. Che il paesaggio fosse un tratto inconfondibile della storia e dell'identità nazionale era infatti ben chiaro ai Padri della Costituzione - fra cui non mancavano grandi esperti del paesaggio rurale, quali Emilio Sereni o grandi mentòri, come il già citato Pietro Calamandrei.

 

Eppure la bellezza di un territorio, è ben dimostrato, può rappresentare anche uno straordinario vettore economico oltre ad essere un ovvio elemento fondamentale per la qualità della vita di tutti i cittadini. 
La salvaguardia dei paesaggi e dei territori diviene però oggi indispensabile per una ulteriore ragione, molto evidente in questi ultimi anni: il degrado idrogeologico. I fenomeni causati dal cambiamento climatico colpiscono territori già fortemente danneggiati, mal gestiti, in cui gli antichi saperi riguardanti le sistemazioni agricole, forestali, idrauliche sono spesso dimenticati. Lo spopolamento della maggior parte delle aree montane e collinari del nostro Paese comporta la mancanza di quelle minute operazioni di cura del territorio che sono fondamentali nel determinarne la resilienza agli eventi estremi. Il potere pubblico difficilmente può sopperire (soprattutto dal punto di vista economico) a tutte quelle operazioni di sorveglianza, manutenzione e prevenzione che in generale sono svolte da chi vive con attenzione e partecipazione un territorio, a partire appunto dagli agricoltori. 

 

Dell'inusitata cementificazione e urbanizzazione dell'Italia si è molto detto e scritto, come anche della spalmatura dei centri urbani o dell'incalcolabile proliferazione dei "capannoni" industriali , nota oggi dominante e opprimente in tanti paesaggi una volta favolosi. Meno si parla del paesaggio agrario, quel paesaggio artificiale creato dall'opera dell'uomo - una volta in maniera armonica ai sistemi e agli equilibri naturali.


I sistemi produttivi agricoli che si sono diffusi dal secondo dopoguerra hanno favorito la meccanizzazione e l'uso di fattori esterni all'azienda agricola ( fertilizzanti di sintesi, insetticidi, anticrittogamici, diserbanti...) al fine di massimizzare la produzione. L'industrializzazione dei processi agricoli ha quindi portato a una radicale trasformazione non solo delle tecniche di produzione ma anche dei territori in cui questa produzione avviene. Nonostante il forte impegno finanziario dell'Unione Europea - che utilizza parte rilevante del proprio bilancio nel sostegno all'agricoltura - i prezzi dei prodotti agricoli tendono a non remunerare adeguatamente l'attività agricola. Questo è vero soprattutto per alcune colture, in genere erbacee. Ne consegue che negli ultimi venti anni in Italia si è avuto un progressivo abbandono dell'agricoltura soprattutto nelle aree meno redditizie in quota - e ovunque si assiste a un progressivo invecchiamento della popolazione agricola senza che vi sia un ricambio generazionale. Nel rapporto sullo stato dell'agricoltura dell'Emilia 2023 risulta come in una delle regioni con la maggiore profittabilità agricola del Paese vi siano oggi 3.500 giovani under 35 che stanno prendendo il posto di 30mila agricoltori over 75. Buona parte di questi giovani agricoltori oltre ai loro terreni coltivano terre di terzi con mezzi meccanici in genere molto evoluti. Il contoterzismo è un fenomeno in notevole sviluppo in tutta la penisola e oggi si può calcolare che circa 1/3 della Sau agricola italiana sia gestita da contoterzisti.


La più recente evoluzione dell'agricoltura italiana, oltre che l'abbandono di alcuni territori, parrebbe quindi favorire una certa estensivazione culturale - un'agricoltura in cui pochi agricoltori fortemente meccanizzati (capitalizzati) gestiscono de facto un capillare sistema di insediamenti (come noto la proprietà fondiaria italiana è caratterizzata da una notevole frammentazione). Questo parrebbe non favorire un buon mantenimento del paesaggio, anche nelle aree che il bel paesaggio sono riuscite a salvaguardare negli ultimi decenni.