Mentre l'Unione Europea contesta la transizione ecologica, giudicandola come troppo sbilanciata e potenzialmente rischiosa per un calo delle produzioni, la Cina ha spostato l'asse delle proprie politiche alimentari verso un nuovo equilibrio in cui le tecnologie - in grado di incrementare la produzione, migliorare la qualità, conquistare nuovi spazi utili alla coltivazione (si veda il riso che può essere coltivato in acqua salata), monitorare i terreni, ma anche ridurre l'uso di fertilizzanti e mezzi tecnici - giocheranno un ruolo importante nel migliorare il ruolo globale della Cina in potenza agricola.
Nel recente Congresso del Partito Comunista Cinese, che ha visto la rielezione di Xi Jinping per i prossimi cinque anni, circondato da fedelissimi alla linea di Governo e con qualsiasi ombra di pensiero differente allontanata, è stato lo stesso presidente Xi Jinping a comunicare una linea senza indugi verso il consolidamento delle "basi della sicurezza alimentare a tutti gli effetti (…) in modo che la Cina possa fornire al popolo la sua ciotola di riso quotidiana". Uno dei passaggi più applauditi, secondo quanto ha riportato il cronista di Le Monde, di tutto il XX Congresso nella Città Proibita. A conferma di quanto il fattore cibo pesi nelle strategie politiche del Dragone.
Leggi anche
Cina, obiettivo: rafforzare il settore agricolo
L'obiettivo di coniugare la crescita agricola e la riduzione della povertà - che il professore olandese Jan Douwe van der Ploeg già aveva rilevato nel suo libro interessantissimo "Agricoltura e contadini nella Cina d'oggi" - con un processo di crescita allargata, in grado di coinvolgere l'intera popolazione rurale in processi di transizione "tali da ottenere aumenti della produzione, redditi più elevati e campagne più vivibili", resta fra i primi obiettivi della Cina proiettata ad essere sempre di più uno dei baricentri dell'economia mondiale, anche in una futura era di "globalizzazione post globale".
Il mercato interno e quello estero si raccordano a vicenda, anche se quello interno resta il pilastro, come ha riportato recentemente anche Xinhua, l'Agenzia di stampa ufficiale che opera sotto il controllo del Governo cinese.
In un contesto ormai fortemente connesso e con uno scenario internazionale fortemente scosso dalle conseguenze della guerra in Ucraina, che coinvolge due dei più rilevanti Paesi esportatori di cereali su scala mondiale, è bene tenere in considerazione il ruolo della Cina in agricoltura.
La Cina alla fine di questo anno solare, secondo le previsioni del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), andrà a detenere il 68,5% delle scorte mondiali di mais, il 30,3% di quelle di soia, il 54% di quelle di grano, il 20,9% degli stock mondiali di colza e il 63% dei magazzini di riso. Xi Jinping, profondo conoscitore della storia cinese, sa bene che le rivoluzioni e i governi stanno in piedi finché la tavola è imbandita. Le rivolte della Primavera Araba sono uno dei tanti esempi che il leader cinese ha sotto gli occhi.
La questione della sicurezza alimentare, come detto, è il primo aspetto che preoccupa Pechino ed è anche in questa ottica che l'ex Celeste Impero ha portato avanti una politica aggressiva di acquisto delle materie prime agricole. Certo, connesso c'è il tema della ristrutturazione e del rafforzamento degli allevamenti per garantire proteine nobili, e gli animali nelle stalle devono mangiare. Ma si torna sempre al nodo dell'alimentazione umana e della disponibilità di cibo, soprattutto in questa fase in cui l'economia cinese non brilla più come in passato e ha ritmi di crescita più lenti e la politica della tolleranza zero verso il covid-19 (una scelta legata sia a questioni ideologiche che a una sanità ancora perfettibile) deve consentire in queste fasi i corretti approvvigionamenti alimentari.
Leggi anche
Cina, l'obiettivo è l'autosufficienza
Come si comporterà in futuro determinerà indubbiamente conseguenze su scala mondiale. Si è visto molto chiaramente sia quando la Cina ha accelerato con le importazioni e gli acquisti di materie prime (o di suini, quando la peste suina aveva costretto a eliminare oltre 200 milioni di capi) sia quando ha rallentato, con effetti depressivi sui prezzi.
Oggi la Cina sembra aver decelerato sugli acquisti. Fra gennaio e settembre di quest'anno le importazioni di cereali sono diminuite in quantità del 15,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, informa Teseo.Clal.it, ma non dobbiamo forse lasciarci ingannare. Con quasi 45 milioni di tonnellate ritirate nei primi nove mesi del 2022, siamo comunque su livelli ben più elevati rispetto al 2020, al 2019 e agli anni precedenti. L'anomalìa, semmai, è stata rappresentata dai grandi volumi acquistati nel 2021. Xi Jinping sapeva in anticipo delle intenzioni di Vladimir Putin in merito alla "operazione militare speciale" e voleva cautelarsi con maggiori scorte? Oppure si è trattato di una volontà di rafforzarsi come garanzia rispetto alle incognite del covid-19? Sono solo ipotesi.
Cina: import cereali
(Fonte foto: Teseo.Clal.it)
Se guardiamo, ad esempio, l'import di semi oleosi, lo scenario appare ancora diverso. Nei primi nove mesi del 2022 gli acquisti di Pechino sono calati del 7,7% su base tendenziale, è vero, ma le quantità sono ancora molto elevate, superiori ad esempio rispetto ai volumi di gennaio-settembre 2019, prima cioè della pandemia. Questo significa che la Cina sta intensificando la propria politica zootecnica? È possibile. D'altronde, è innegabile che a fronte di un allargamento delle condizioni medie di benessere, si cerca di migliorare la propria alimentazione. E in questa logica, unitamente a quella più squisitamente politica di alleanze mondiali, si devono leggere gli accordi di scambio e i ritiri di materie prime cosiddette coloniali che la Cina ha sottoscritto con molti Paesi dell'Africa.
Cina: import semi oleosi e farine proteiche
(Fonte foto: Teseo.Clal.it)
Altro punto. La Cina sa bene che la questione climatico ambientale riguarda tutto il Pianeta. Ed è anche per questo che sostiene ricerca e innovazione. È necessario contrastare le incognite derivanti dal clima, il più possibile e nei limiti dell'alea. Ma è per questo che sta rafforzando bacini irrigui e tecnologie per il corretto utilizzo delle acque. In prima fila, a tirare le file, c'è la Chinese Academy of Agricultural Sciences, naturalmente sotto il monitoraggio della Repubblica Popolare.
I risultati ottenuti negli ultimi dieci anni in tema di sostenibilità non sono da sottovalutare: l'Accademia Cinese di Scienze Agrarie ha infatti sviluppato una serie di prodotti e tecnologie agricole verdi, riducendo l'utilizzo di agrofarmaci di oltre il 20% e di fertilizzanti chimici di oltre il 10%, e ottenendo un aumento medio di 5 punti percentuali del tasso di utilizzo dell'acqua piovana del Paese. Allo stesso tempo, si stanno sviluppando soluzioni per rilevare gli inquinanti e intervenire per un'agricoltura più verde (benché la Cina, insieme a Russia e India, si sia sfilata dal palcoscenico internazionale della Cop27, che pure ha una visione globale sul clima e non si limita ai soli aspetti agricoli).
Inoltre, la Cina sta prestando sempre più attenzione agli aspetti legati alla qualità e alla sicurezza alimentare, così come sta coinvolgendo la ricerca per nuove varietà di colture di alta qualità, dai campi alla zootecnia.
Il modello apparentemente demonizzato dell'Occidente, in pratica, viene imitato nei suoi assi principali: il miglioramento produttivo, l'innalzamento della qualità, la riduzione della chimica di sintesi e lo spostamento verso un modello di agricoltura rigenerativa. Persino il ricorso alla multifunzione e al turismo rurale come risorse in grado di diffondere benessere fra chi cerca benessere e una dimensione più rilassata come pausa temporanea dalle metropoli sta sempre più funzionando e si sta declinando nella formula delle comunità rurali.
Certo, restano alcune peculiarità di fondo che caratterizzano intrinsecamente il modello cinese e lo differenziano dai grandi latifondi degli Stati Uniti, del Brasile, dell'Argentina, ma la visione della Cina è che non è la dimensione dell'attività la questione decisiva, come riconosce lo stesso van der Ploeg.
Non possiamo dunque ragionare su uno scenario globale senza tenere presente il ruolo della Cina. Personalmente non penso che debba essere temuta, ma osservata sì. E come Pechino ha indirizzato i propri sforzi a migliorare alcuni aspetti dell'agricoltura mutuandoli dall'esterno, così anche l'Unione Europea dovrebbe analizzare con attenzione il modello cinese, operando per migliorare attraverso un approccio globale, dove ricerca e sviluppo devono guidare una crescita produttiva, un abbassamento delle emissioni, un approccio più verde, una riduzione degli sprechi, una maggiore attenzione alla multifunzionalità, una ricerca verso fonti energetiche alternative.
Se la Cina ha definito le sementi i microchip dell'agricoltura, con l'intento di esaltarne la funzionalità, è opportuno muoversi di conseguenza. La corsa al podio dell'economia si costruisce partendo dall'agricoltura.
Leggi anche
Cereali: produzione, prezzi e mercati
Un'ultima annotazione per chi dovesse sottovalutare i progressi della Cina in agricoltura. Se guardiamo le rese dei terreni agricoli per la coltivazione dei cereali la Cina si colloca al primo posto per il riso (7 tonnellate per ettaro) e per il frumento (5,85 tonnellate per ettaro), e al secondo posto dietro gli Usa nel mais (con 6,37 tonnellate/ettaro, laddove l'Unione Europea è a 6,31 tonnellate per ettaro). E fra ricerca genetica e soluzioni agronomiche e satellitari, la crescita cinese sarà ancora più marcata. Teniamone conto.
Chiediamo ai lettori (se desiderano intervenire, sempre con la consueta pacatezza): ritenete che la Cina rappresenti un'opportunità per il nostro sistema agroalimentare? Oppure pensate che il colosso asiatico resti una questione lontana, geograficamente, culturalmente, politicamente, per l'agricoltura europea? Sono solo due spunti, ma sono ben accette riflessioni più ampie. Grazie.
Rese dei terreni agricoli per la coltivazione di cereali
(Fonte foto: Usda)
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)