La strategia Ue sulla biodiversità risale oramai al 2011 e oggi alcune indiscrezioni parlano della messa a riposo del 10% dei terreni agricoli, della coltivazione con metodi bio estesa sul 30% del totale della superficie agraria oltre che di un taglio del 50% nell'uso dei pesticidi. Se venissero confermati questi obiettivi si tratterebbe di una decisa svolta ambientalista da parte Commissione. Alla quale, senza entrare nello spinoso merito, vorremmo fare qualche sommessa raccomandazione.
Le compensazioni affinché si tolgano dalla produzione i terreni – cosa non certo nuova ricordando il noto "set aside" - possono in un certo modo ricordare quel "reddito di cittadinanza" di cui per altri capi si è molto discusso in Italia (e non solo) negli ultimi anni. Noi non crediamo che la colpevolizzazione e lo svilimento della attività agricola possa migliorare la situazione ambientale europea: anzi, siam convinti dell'esatto contrario.
Noi crediamo in un'agricoltura attiva, in cui l'operato dell'uomo si integri ed armonizzi con la natura. Noi crediamo che sia oggi sempre più evidente e necessario puntare su una certa indipendenza alimentare – non tanto per una stolida tendenza all'autarchia ma per proprio per un non celato ambientalismo: fare viaggiare per esempio l'85% del succo di arancia che arriva dalle nostre tavole per oltre 10mila km non ci pare un atto ecologico. La globalizzazione si sta poi sempre più rivelando un'architettura fragile e pericolosa.
Noi crediamo (moderatamente) nella autodeterminazione alimentare e fermamente nel contributo che può dare la buona agricoltura nella gestione del paesaggio e dell'ambiente - e quindi della qualità della vita di tutti i cittadini. L'agricoltura è un bene comune da tutelare - non da compensare con due spicci.