Una filiera importante che, dall’agricoltura alla ristorazione, vale il 9% del Pil italiano, con più di 130 miliardi di euro di valore aggiunto. Secondo le stime di Nomisma Agrifood Monitor, l’export agroalimentare dovrebbe infatti superare i 40 miliardi di euro di introiti grazie a una crescita superiore del 6% rispetto al 2016.
I mercati che stanno tirando la volata delle vendite italiane all’estero sono in particolare i paesi extra-Ue, pur rappresentando ancora meno del 35% del totale dell’export. Tra questi, in particolare, Russia e Cina, con variazioni negli acquisti di prodotti agroalimentari italiani, oltre il 20%, nonostante il loro peso continui a essere marginale sul totale dell’export.
“L’aumento dell’export, unito a un consolidamento della ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale, prefigura un 2017 all’insegna della crescita economica per le imprese della filiera agroalimentare – sottolinea Denis Pantini, responsabile dell'area agroalimentare di Nomisma – Dallo scoppio della recessione globale ad oggi il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è cresciuta del 16%, contro un calo di oltre l’1% registrato dal settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal 2015”.
Dati sicuramente molto positivi che arrivano in un contesto come il settore agroalimentare ancora molto frammentato, con appena il 2% del totale delle imprese agroalimentari che superano i 50 addetti occupati. Rimane un’inferiore propensione all’export della nostra industria alimentare rispetto ad altri competitor (23% contro il 33% della Germania), che dimostrano il forte divario in termini di fatturato con la Francia (59 miliardi) e con i tedeschi (73 miliardi di euro di fatturato da export).
A livello regionale, fra le regioni italiane maggiormente “market oriented”, troviamo Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, che esportano in valore il 60% del totale del fatturato di export agroalimentare made in Italy. Arranca il Sud, che, nonostante produzioni agroalimentari di qualità diffuse, incide sul totale del fatturato solo per meno del 20%.