Non bastavano i manifestanti che mettevano sottosopra Copenaghen, a guastare i lavori dell'interminabile (è iniziata il 7 dicembre..) Conferenza Onu sul clima, ci si sono messi anche i Paesi africani che hanno abbandonato i lavori in segno di protesta. Tutta colpa della volontà da parte dei Paesi sviluppati, questa la motivazione addotta, di mettere da parte il protocollo di Kyoto considerato invece un baluardo per il contenimento delle emissioni dannose. Protesta rientrata e lavori ripresi, ma restano ancora molti nodi da sciogliere per poter salutare le conclusioni del vertice di Copenaghen con piena soddisfazione. Molte anche le contraddizioni che questo summit si porta dietro come quella, messa in evidenza da molti media, della sua eccessiva ridondanza. Un numero per tutti. Per raccogliere gli studi, le relazioni e le comunicazioni presentate al summit si sono consumati due miliardi di pagine. Un bello “schiaffo” alla natura che si vuol proteggere. Per non parlare delle tonnellate di kerosene necessarie per portare dai quattro angoli del globo sino a Copenaghen le numerose delegazioni dei paesi partecipanti al summit. A complicare lo scenario anche il lavoro di alcuni pirati informatici che hanno violato le difese dei computer di alcuni scienziati e avrebbero così scoperto che il catastrofismo da buco nell'ozono e riscaldamento del pianeta è più virtuale che reale. Ma forse è solo una delle tante “fantasie” al negativo che hanno accompagnato i lavori dei congressisti del clima.

 

Il ruolo dell'agricoltura

Fra tanto parlare e discutere non potevano certo mancare i riferimenti all'agricoltura. Ma anche su questo argomento i lavori del congresso non sono riusciti ad evitare talune contraddizioni. Lo sviluppo dell'agricoltura, specie nei paesi meno sviluppati, potrebbe essere un valido strumento per ridurre l'effetto serra, come ha affermato Michael von Bülow. Per di più (e non è cosa da poco) gli aiuti alla crescita dell'agricoltura in questi Paesi sarebbe di fondamentale importanza per la lotta alla fame. Al contempo però, si indica negli allevamenti una delle cause dell'effetto serra. Lo afferma Rie Jerichow accusando in particolare i bovini di essere responsabili, con la loro produzione di metano, dell'effetto serra. Ma per allevare bovini si coltivano terreni, resi fertili e produttivi proprio dalle deiezioni degli animali. C’è poi da mettere in conto che la coltivazione dei foraggi, come il mais, rappresenta un formidabile laboratorio per la cattura dei gas serra. Lo affermano numerosi studi fra i quali ricordiamo quello di Pier Luigi Mariani dell'Università di Milano, i cui risultati sono stati riportati in sintesi su “La Repubblica” del 14 dicembre. Un ettaro di mais, si apprende da questo studio, ha un assorbimento netto di ben 12,9 tonnellate di carbonio. Mettendo insieme tutti gli ecosistemi terrestri, afferma lo studioso, si ha la sottrazione con la fotosintesi clorofilliana di circa 120 giga tonnellate di carbonio (Gtc) mentre le attività umane rilasciano 9,5 Gtc. I conti sono presto fatti.

 

Tenere alta la guardia

Anche se il bilancio è a netto favore della Natura, l'agricoltura non può sottrarsi dal guardare all'ambiente con il massimo rispetto, non fosse altro perché le sorti dell'agricoltura, più che ogni altra attività umana, sono strettamente legate alla Natura stessa. Lo ha ricordato anche Confagricoltura che a margine del vertice di Copenaghen ha voluto ricordare che negli scorsi anni, mentre in Italia le emissioni di gas serra sono aumentate di oltre il 7%, quelle dovute all’agricoltura sono scese oltre l’8%. E chissà se nel fare questi conti Confagricoltura si è ricordata di detrarre la quota di CO2 che le colture intensive hanno eliminato dall'ambiente. Se così non fosse il bilancio potrebbe persino essere positivo. A favore dell'agricoltura e a vantaggio dell'ambiente.