Lo scenario è noto a tutti: domanda di latte in costante aumento su scala globale e export dell'Ue in incremento progressivo. Una tendenza che non lascia margini di dubbio alle previsioni: il sistema produttivo non subirà alcuno shock dopo il 2015. In questo quadro, il 50% degli intervistati (su un campione di 239 aziende con un minimo di 20 capi) prevede il mantenimento dell'attuale produzione; il 23% è pronto, invece, ad aumentare la quantità di latte prodotto, mentre il 7% teme una possibile chiusura dell'attività per effetto della pressione competitiva dei partner comunitari. Il 18%, infine, non ha risposto la mancanza di un'informazione completa in materia. All'interno delle quote percentuali, è interessante rilevare il fatto che sono soprattutto le imprese medio-grandi (fra 100 e 500 capi) a voler conservare lo status quo, mentre quelle disposte ad investire sull'aumento produttivo sono aziende sia di grandi dimensioni (oltre 500 capi) che di proporzioni medio piccole (tra i 20 e i 50 capi).
Tra i fattori di preoccupazione c'è, invece, l'aggravarsi degli squilibri tra allevatori e controparte industriale e distributiva, con il rischio di fenomeni speculativi all'interno della filiera. "Uno scenario a cui il legislatore comunitario ha cercato di porre rimedio con le misure contenute nel cosiddetto Pacchetto Latte – ha precisato Semerari - ma che gli intervistati affermano spesso di non conoscere (ben 2 operatori su 5) o considerano inadeguate ai fini della tutela degli allevatori".
Sono due le principali considerazioni secondo gli esperti: la fine delle quote non determinerà grandi stravolgimenti negli assetti produttivi attuali, né a livello nazionale né comunitario, e l'eventuale maggiore disponibilità di latte nella Ue potrebbe, in situazioni di prezzi esteri più vantaggiosi, penalizzare la remunerazione delle stalle italiane. Tuttavia l'eventuale aumento dell'output da parte dei tradizionali produttori di latte (Germania, Francia, Olanda e Danimarca) non sarà, dopo il 2015, la diretta conseguenza della liberalizzazione del mercato, ma piuttosto l'effetto delle nuove opportunità di sbocco dettate dalla rapida crescita della domanda mondiale, che ha già causato un forte aumento dei prezzi sui mercati internazionali.
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Fonte: Cremona Fiere