Poco prima della pausa festiva di fine anno ho letto con interesse il provocatorio articolo “La peronospora causa carenze di rame?” dell’amico Ivano Valmori e, visto che nel giugno del 2017 avevo a mia volta sollevato la questione ("Rame e biologico, forse siamo vicini alla fine"), vorrei tornare sull’argomento per illustrare un diverso punto di vista.

Chiariamo subito che “diverso” non significa che sia in disaccordo né che ritenga non corretto quanto giustamente scrive il preoccupato Valmori; piuttosto si tratta di una differente prospettiva associata ad una chiave di lettura parimenti provocatoria e volta ad alimentare il dibattito.
 
Il problema del “dual use” è stato da sempre sollevato in molte sedi e sta prepotentemente tornando alla ribalta ora che il nuovo regolamento europeo si appresta a normare i biostimolanti includendoli tra i fertilizzanti e sottraendoli, di conseguenza, all’ambito dei fitosanitari. Sono parecchie le sostanze, non necessariamente derivanti da sintesi chimica, che trovano proficua applicazione in più settori, spaziando dall’alimentazione umana ed animale alla lotta antiparassitaria, dalla nutrizione delle piante all’impiego come biocidi. Come spesso accade, le differenze vengono fatte dalle modalità d’impiego e dalle dosi. Non a caso, Valmori cita le perdite annuali di elementi minerali segnalando che M. Fregoni menziona per il rame un range annuo di 30-60 grammi/ha.
 
Prendiamo il paradosso del sale, parliamo di quello comunemente usato in cucina. L’organismo umano è predisposto ad assumerne circa 0,25 g/giorno ed anche il fabbisogno in sodio di un adulto viene ampiamente soddisfatto da un quarto di grammo. Eppure la dieta media italiana contempla circa 12 grammi di sale al giorno: quasi 50 volte la dose richiesta. Questo semplicemente per spiegare che non può esistere il controllo di quello che il singolo individuo decide di fare a prescindere se sia corretto o addirittura mortale quello che fa. Anche il sale ha la sua dose letale ed un uomo di 75 kg potrebbe morire se ne ingerisse 300 grammi in una sola volta.
 
Quando iniziarono le prime discussioni a livello europeo per stilare la lista dei concimi da includere nel nascente regolamento CE 2003/03 sui fertilizzanti, proprio alcuni produttori italiani di rame segnalarono agli esperti della Ue che l’introduzione di concimi a base di rame come l’ossicloruro avrebbe aperto la via ad un uso improprio di queste sostanze. Si chiese agli esperti Ue di definire limiti e confini tra le dosi per poterne disciplinare l’uso come fertilizzante. I tecnici Ue non solo dissero chiaramente che non era compito della norma regolamentare le dosi ma addirittura imposero come limite minimo del rame ossicloruro ben il 50%: con appena 120 grammi/ha si sarebbero compensate le perdite annuali.
Nessuno si pose il problema pratico di come, in ambito fertilizzanti, fosse possibile distribuire tale piccola dose di prodotto, nemmeno solubile in acqua. Nella frenesia normativa, persino a distanza di 15 anni, quando il problema del dual use è esploso in tutta la sua importanza, i burocrati comunitari sono pronti ad imporre limiti minimi ai concimi con microelementi anche nella futura norma sui fertilizzanti che sostituirà il Reg. CE 2003/03, in aperto contrasto con le corrette pratiche agronomiche.
 
Le lacune regolatorie sono proseguite quando sono state messe a punto le norme sull’agricoltura biologica ed è stato definito il limite massimo di 6 kg di rame per ettaro l’anno esclusivamente per alcune tipologie specifiche di fitosanitari. Non solo c’è una lista con le denominazioni dei prodotti ricadenti nel limite ma non si è pensato di includere da nessuna parte un riferimento all’uso improprio dei fertilizzanti. In realtà alcune regioni italiane hanno introdotto nei loro disciplinari qualche freno all’uso sconsiderato dei concimi finalizzato al controllo delle malattie ma, in caso di contenzioso, riteniamo che siano davvero flebili le speranze di vittoria da parte dell’Autorità.
 
Anche i funzionari del ministero delle Politiche agricole sono rimasti a guardare, anzi proprio di recente hanno ritenuto di intervenire sulla norma europea con una loro interpretazione sui sali che costituiscono i concimi per l’apporto di microelementi (nello specifico parliamo di azoto e fosforo) ma non si sono assolutamente posti il problema relativo al dual use. Altra occasione persa e nascita dell’ennesima norma assurda dal punto di vista agronomico ed ancora più assurda quando si cerca di applicarla e rendere possibili i controlli per le produzioni biologiche.
 
Sono quindi lecite le preoccupazioni sollevate ma tocca al legislatore trovare soluzioni adeguate per facilitare l’attività di controllo così come per redigere etichette a norma per ciascun ambito di applicazione. Bastano poche e semplici regole associate ad un’adeguata formazione rivolta a tutte le figure predisposte ai controlli affinché applichino le norme che già ci sono. Se poi si vogliono colpevolizzare gli agricoltori e i fabbricanti di fertilizzanti o, addirittura, il canale della distribuzione attribuendo loro tutte le responsabilità, allora significa che non c’è alcuna volontà per uscire dalle zone grigie che sempre di più oscurano il comparto dei mezzi tecnici.