Converrà ancora per gli agricoltori prendere i fondi della Pac? Confai emette un giudizio non proprio morbido sulla proposta di riforma della Pac post 2013, alla luce di un'analisi economica del professor Ermanno Comegna, economista agrario, esperto di Politica agricola comune e direttore della rivista Latte d'Italia.

"Se la futura Pac dovesse rimanere così come è stata formulata dalla Commissione Agricoltura presieduta da Dacian Cioloş – sostiene il presidente di Confai, Leonardo Bolis - riteniamo più conveniente affacciarsi sul mercato senza protezioni, almeno in alcuni bacini agricoli europei. Si risparmierebbe tempo per gli adempimenti burocratici e le imprese agricole non sarebbero soggette a gioghi come il greening o l'alternanza produttiva".

La posizione della Confederazione sulle elaborazioni del professor Comegna. "Da una recente ricerca sul campo che ho condotto – dichiara Comegna - risulterebbe concreto il rischio di sganciarsi dalla Pac per l'eccessiva burocrazia e per gli elevati oneri di varia natura che comporta". Potrebbero non presentare la domanda di pagamenti diretti gli agricoltori specializzati, con aziende localizzate in aree ad alta vocazione nei confronti di una determinata coltura. "Ma lo stesso – afferma Comegna - potrebbe accadere per certi allevamenti intensivi e specializzati che hanno necessità di produrre in casa determinati tipi di alimenti zootecnici. Rinunciare alla Pac significa spendere meno in pratiche amministrative, avere meno controlli in azienda, guadagnare tempo da dedicare alla gestione, all'innovazione e alla ricerca di nuovi mercati, avere più libertà di scelta e non essere costretti a sottostare a vincoli e condizionamenti che incidono sui risultati economici e che in certi casi sono ridondanti, ingiustificati e incomprensibili". "Accettare il greening significa introdurre una seconda e un terza coltivazione sui terreni a seminativi e mettere fuori produzione il 7% della superficie", sintetizza Comegna.

Secondo Confai, ciò penalizza la produzione principale, da cui l'azienda ottiene la maggiore produttività e un livello di reddito che le coltivazioni alternative non assicurano. "E tutto questo per un compenso che dovrebbe attestarsi, secondo i calcoli, attorno a 70-80 euro per ettaro". Il rischio implicito nelle proposte della riforma Pac è creare una duplice categoria di agricoltori. "Quelli che rimangono nel sistema della Pac – dice Comegna -, e quelli che rinunciano al sostegno pubblico, perché ritengono che sia la strada  più conveniente".

Dai risultati di una recente simulazione eseguita su dati Eurostat e Commissione europea, anticipa Comegna, "per effetto della regola relativa al 7% di aree ecologiche, dovrebbero essere messi fuori produzione a livello europeo 3,8 milioni di ettari, con una riduzione equivalente in termini di produzioni di cereali parti a 20,4 milioni di tonnellate. Questo significa che l'Unione europea diventerà dipendente dalle importazioni". Nel complesso "gli agricoltori europei subiranno una perdita economica di 3,7 miliardi di euro, equivalente ad una riduzione del 6% del margine lordo per ettaro", calcola la ricerca. Ma non è tutto, incalza Comegna, "perché con la regola della diversificazione colturale, implicherebbe la conversione di 1,4 milioni di ettari di cereali verso altre produzioni, essenzialmente oleaginose e proteiche, con una ulteriore riduzione di 6,3 milioni di tonnellate di cereali ed una perdita economica di 1,1 miliardi di euro". Quindi la perdita complessiva toccherebbe i 4,8 miliardi di euro.

Calato sull'Italia, l'effetto dovrebbe essere di un congelamento dalla produzione di 254.000 ettari per effetto della regola sulle aree a valenza ecologica e una diminuzione della superficie a cereali di 302.000 ettari a seguito della diversificazione. Confai stima che la contrazione potrebbe aggirarsi (a valori di mercato attuali) intorno a 500 milioni di euro.

"La sottrazione del 7% della superficie coltivata – sottolinea Bolis - si tradurrà automaticamente in minor lavoro per i contoterzisti agrari. Inoltre, l'obbligo di introdurre almeno tre diverse colture per ogni azienda agricola costringerà gli agromeccanici ad operare su appezzamenti sempre più piccoli e parcellizzati, senza cogliere i benefici delle economie di scala e ad effettuare ammortamenti delle macchine in tempi ragionevoli". "Peraltro – osserva Bolis – a fronte di tutti questi sacrifici per le imprese agricole e agromeccaniche non ci sarebbero neppure reali benefici per l'ambiente. Al contrario, l'innaturale diversificazione colturale su poderi medio-piccoli porterebbe ad un'eccessiva movimentazione di mezzi sullo stesso podere con aumento dell'inquinamento da Co2 e spreco di carburanti".