In tanti parlano di sostenibilità e di diritto a una sana alimentazione ma intanto la situazione peggiora. Parliamo, per esempio, del fenomeno del food desert, ben descritto negli Stati Uniti da un paio di decenni: un deleterio fenomeno sociale che si sta espandendo anche da noi.
Si parla di food desert quando, per una popolazione, non è possibile trovare punti di vendita di cibo fresco (frutta e verdura, carni e pesce freschi) in prossimità della propria abitazione (per convenzione, negli Usa, un miglio nelle aree urbane, 10 miglia in quelle rurali).
Negli Stati Uniti vi sono intere aree, in genere abitate da persone con basso reddito, che sono totalmente sprovviste di esercizi per la vendita di cibi freschi e magari, invece, abbondano di fast food o di supermercati che vendono cibi conservati ad alto contenuto calorico (il cosiddetto junk food).
Di fatto, oramai in tutto il mondo le persone con i redditi più limitati non acquistano cibi freschi e salubri ma cibi con alto contenuto calorico, molto insalubri. In pratica si acquista il maggior numero di calorie possibile con la minor spesa per unità calorica.
Le conseguenze sono drammatiche: aumento dell'obesità anche in età infantile, aumento delle malattie cardiovascolari e aumento del diabete di tipo 2 (acquisito, non ereditario).
Attenzione: tutti questi fenomeni sono già ben documentati anche in Italia dove, per esempio, le fasce con minor reddito (comprendenti spesso gli immigrati) sono soggette a percentuali anche doppie di obesità e diabete 2 – un fenomeno che può diventare insostenibile per la nostra già provata sanità pubblica.
Prevenire, in questo caso, vuol dire mangiare bene e avere la campagna (non l'industria) che approvvigiona le nostre mense.






























