Le buone notizie si poggiano, questa volta, su una base scientifica. Mentre la Commissione Ue frena sulle autorizzazioni relative alle Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea), rischiando a causa di veti, ritardi e timori di far perdere l'ennesimo treno della competitività all'agricoltura europea, tre università italiane (la Statale di Milano, la Sapienza di Roma e la Federico II di Napoli) stanno portando avanti il progetto "Moon-Rice" per adattare la pianta di riso e renderla idonea ad essere coltivata nello spazio.
Fin qui, nulla di nuovo, visto che da tempo la ricerca italiana è impegnata a sperimentare colture idonee ad essere impiegate dagli astronauti in missione. Questa volta, però, a colpire è l'obiettivo legato alla durata del ciclo produttivo: appena due mesi, come riporta il Corriere della Sera.
"Dobbiamo progettare piante che crescano in fretta, con radici superficiali, di taglia contenuta, e con foglie più tenere e meno coriacee, perché nello spazio non si può sprecare nulla", specifica Vittoria Brambilla, professoressa associata in Botanica all'Università Statale di Milano e accademica dei Georgofili, in passato vittima di facinorosi antiscienza, che distrussero le piante di riso Tea in Lomellina, dichiarando così apertamente di essere degli eco-delinquenti.
I compiti della ricerca annunciata dal Corriere della Sera sono chiari: l'Università di Roma si concentra sullo sviluppo dell'apparato radicale e sull'attività ormonale delle piante; l'Università di Napoli cura la parte agronomica e si occuperà dei test finali, avendo a disposizione delle stanze in grado di simulare le condizioni dello spazio. Alla Statale di Milano, invece, spetta il passaggio più "biologico e botanico": trasformare il riso in una pianta capace di vivere nello spazio e di svilupparsi in metà tempo rispetto a una convenzionale coltivata sulla Terra.
Il progetto è iniziato da un anno e alcuni prototipi sono già in fase di test, ma "ci vorrà ancora un po' prima di avere la varietà giusta da poter trasferire direttamente sulla Luna; in media servono almeno sette o otto anni per sviluppare una nuova varietà".
Non ci resta che augurare buon lavoro, consapevoli che una rivoluzione spaziale potrebbe riverberare i propri effetti positivi anche sulla Terra. Con una popolazione che aumenta poter contare su un cereale ampiamente diffuso e utilizzato su scala mondiale come il riso potrebbe rappresentare un aiuto fondamentale per raggiungere l'obiettivo "Fame zero", che guerre, cambiamenti climatici e crisi economiche hanno allontanato.
Il Disegno di Legge ColtivaItalia
Oltre 1 miliardo di euro stanziato per l'agricoltura italiana, con una marcata attenzione per il rafforzamento delle filiere agricole e della zootecnia, vale a dire dove è maggiore il valore aggiunto e dove c'è maggiormente bisogno di sforzi per rafforzare la produzione e ridurre i tassi di importazione dall'estero.
Se il nome, almeno così come è scritto, è un insulto alla lingua italiana, gli obiettivi sono alti e i fondi - almeno sulla carta, visto che ora è necessario un passaggio parlamentare - ci sono. Sarà necessario avere le idee chiare, progetti definiti, tempistiche certe, per evitare rallentamenti e ingessature che possono pesare sulla competitività delle filiere agroalimentari di casa nostra. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) insegna.
1 miliardo di euro è tanto o poco? Dipende (se lo confrontiamo con i tagli della Pac annunciati lo scorso 16 luglio dalla Commissione Ue, che per l'Italia finiranno per pesare oltre 7 miliardi di euro nel settennato 2028-2034, l'impatto si ridimensiona, ma con i chiari di luna che ci sono non c'è da lamentarsi). Di certo, se le risorse verranno impiegate così come è stato definito nel Disegno di Legge, si potrà tentare di dare un futuro alle aziende agricole alle prese già oggi con le difficoltà di redditività, di ricambio generazionale e di visione futura.
Molto positivo lo stanziamento di 13,5 milioni di euro al Crea per ricerca e innovazione, attività insostituibili se vogliamo un'agricoltura sana, sicura, che produce.
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Agricoltura strategica (lo dicono gli Usa)
Una ne pensa, cento ne fa. Ma anche cento ne pensa e poi non si sa come va a finire… Donald Trump ci ha abituato che non sempre i pensieri, le dichiarazioni e le azioni sono accomunati da una certa coerenza di fondo. Ma tant'è.
L'ultima novità dalla Casa Bianca questa volta è positiva e arriva dal segretario all'Agricoltura Brooke L. Rollins. Insieme ai rappresentanti della Difesa, della Giustizia e Sicurezza Nazionale, la responsabile dell'Agricoltura a stelle e strisce ha annunciato il lancio del "National Farm Security Action Plan", un nuovo piano d'azione che sancisce il ruolo strategico dell'agricoltura all'interno della sicurezza nazionale americana.
L'agricoltura non è, dunque, solamente una questione di produzione di cibo e di sicurezza alimentare, ma diventa un tema di sicurezza nazionale. Una decisione scaturita - racconta Italiafruit - da uno scenario di cronaca abbastanza recente, quando il Dipartimento della Giustizia ha incriminato diversi cittadini stranieri per il contrabbando negli Usa di un fungo patogeno con un potenziale distruttivo per le colture. Una difesa non solo delle colture, ma anche dei terreni, in particolare quelli vicini a centri e basi militari, per evitare infiltrazioni nei centri di ricerca, acquisti strategici di terreni agricoli, furti di tecnologia e attacchi informatici a sistemi alimentari.
Più India, più Africa, meno Cina
L'ultimo Rapporto Ocse proiettato al 2034 prevede un minore peso a livello mondiale dei consumi cinesi, a causa dell'invecchiamento della popolazione (gli anziani riducono i consumi, si sa), mentre crescono le quote dell'India, del Sud Est Asiatico e dell'Africa subsahariana nel consumo mondiale di prodotti agricoli.
Una crescita trascinata dall'incremento demografico, che consoliderà l'India al primo posto con il 17,9% della popolazione mondiale nel 2034, seguita dal 17,5% della popolazione mondiale, che sarà invece ospitata dall'Africa subsahariana. La crescita della popolazione dovrebbe innescare anche un miglioramento del Pil pro capite, che significa aumento del reddito medio, urbanizzazione, miglioramento dell'istruzione e (si spera) delle cure sanitarie, un sostegno alla domanda di alimenti di base e di prodotti di origine animale.
Meno slogan, più chiarezza
Alzi la mano chi non ha mai pronunciato (o scritto) la fatidica frase: "Produrre di più con meno". Uno slogan immediato, che esprime in poche parole la necessità di coniugare due spinte apparentemente antitetiche: l'incremento delle produzioni agricole, necessario in vista di un aumento della popolazione mondiale, riducendo gli input con il duplice scopo di ridurre l'impatto ambientale e tenere sotto controllo i costi di produzione. Una sintesi che, apparentemente, ha funzionato.
Eppure, già in passato c'è stato chi ha tentato di superare la banalità di una rappresentazione che - a furia di ripeterla - è divenuta "ormai dominante", come scrive il Crea, che nei giorni scorsi è intervenuto sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature Food con uno studio condotto con la Michigan State University. Scopo: mettere in guardia "dai rischi insiti in una rappresentazione divenuta ormai dominante, ma troppo semplicistica, che può oscurare la complessità delle sfide che il settore agricolo deve affrontare per diventare realmente sostenibile".
Sono tre, in particolare, le criticità poste sotto la lente: il rischio di semplificare eccessivamente la complessità dei sistemi agricoli, come la salute del suolo, la gestione delle risorse idriche o l'adattamento ai cambiamenti climatici, a soluzioni tecnologiche immediate; dimenticare il percorso verso la sostenibilità per sostituirlo con progetti di corto respiro, ispirati più al consenso popolare che a una visione strategica di ampia visione. Altro rischio, suscitare aspettative irrealistiche e distorte.
Molto meglio, dicono Pasquale De Vita, dirigente di ricerca del Crea Cerealicoltura e Colture Industriali, e Bruno Basso della Michigan State University (gli autori dell'articolo pubblicato su Nature Food) lavorare per cercare di combinare l'uso di tecnologie avanzate - come il genome editing e la de novo domestication - con investimenti in pratiche agroecologiche e soluzioni digitali.
Buona estate.






























