Dall'inizio delle contrattazioni di questa mietitura, il grano duro biologico nazionale buono mercantile ha perso in media 62 euro a tonnellata del suo valore (-16,21%), atteso che al suo esordio - il 30 giugno 2020 - era stato quotato tra i 380 ed i 385 euro alla tonnellata.
Evoluzione dei prezzi pressoché sovrapponibile per il grano duro bio mercantile che, con prezzi di esordio di 370 euro sui minimi e 375 sui massimi, si ritrova con le quotazioni di martedì scorso ad aver perso mediamente gli stessi 62 euro alla tonnellata di valore (-16,64%) del buono mercantile, con una perdita in termini percentuali di poco maggiore.
Sulle cause di questi ribassi si interrogano gli agricoltori e le organizzazioni agricole: "L'invasione del grano duro biologico importato dalla Romania, con costi di produzione decisamente inferiori, sta tagliando fuori dal mercato i produttori di grano duro della provincia di Bari e Barletta-Andria-Trani" denuncia Felice Ardito, presidente di Cia-Agricoltori italiani Puglia levante.
"Ormai anche il contributo concesso dalla Regione Puglia ai produttori di grano duro biologico non riesce più a coprire il minor prezzo contrattato sui mercati" sottolinea il presidente Ardito, secondo il quale "Vendere il grano duro biologico a meno di 400 euro a tonnellata non è assolutamente conveniente, né può essere sostenibile per la sopravvivenza delle nostre aziende. Paradossalmente, le farine e le paste biologiche messe in vendita ai consumatori non hanno subìto alcuna significativa riduzione".
Secondo Cia Puglia levante "La domanda di grano duro biologico risulta in aumento e quindi non può che essere aumentata l'offerta in maniera esponenziale, soprattutto a causa delle crescenti importazioni dalla Romania e dai paesi extra Ue".
Il timore ora è che si inneschi una spirale negativa: "bassa qualità, scarsa remunerazione, riduzione degli investimenti, abbassamento ulteriore della qualità". Insomma, secondo Cia, l'opportunità del grano bio per la cerealicoltura pugliese rischia di diventare una occasione persa "non consentendo all'imprenditore agricolo un'adeguata valorizzazione sul mercato della propria produzione e il suo orientamento alla domanda delle industrie di trasformazione".