Mentre muove i primi passi la prossima stagione, il quadro economico del mercato del riso è sconsolante: dinamica depressiva dei prezzi, costi di produzione elevati con l'impossibilità o quasi di comprimere molte voci di spesa.

Se da un lato il Mipaaf ha portato sul tavolo del Consiglio dei ministri Ue le ragioni dei produttori europei e le conclusioni del G7 di Milano, ottenendo rassicurazioni bollate come insufficienti dall'Ente nazionale risi, dall'altro, all'ultima Fiera in campo che si è tenuta il weekend scorso (4-5 marzo 2017), l'Associazione dei laureati in Scienze agrarie e forestali di Vercelli e Biella ha fatto i conti in tasca agli agricoltori.
Durante il convegno d'apertura della Fiera è stata presentata infatti la ricerca 'Il bilancio economico dell'azienda risicola' e i dati che ne sono emersi non lasciano presagire nulla di buono.

Secondo Eurostat e secondo l'Ente nazionale risi, fra il 2015 e il 2016 gli ettari a riso in Italia sono aumentati, così come la produzione (+ 90mila tonnellate); sono presenti scorte importanti di risone e i paesi cosiddetti meno avanzati (Pma) continuano a esportare in Europa a dazi zero.
Il risultato è una dinamica dei prezzi che punta verso il basso e sui quali l'agricoltore non ha possibilità di manovra. Dall'altro lato ci sono costi elevati, e anche su questi l'imprenditore agricolo ha pochi margini per influenzarli.

Secondo i conti fatti dall'Associazione di Vercelli e Biella, soltanto le aziende sopra i 300 ettari e che coltivino risi tipo Arborio e Carnaroli oppure quelli del Lungo B portano a casa la copertura dei costi e una remunerazione per il proprio lavoro, tutte le altre aziende vanno sotto. Se si considera che la dimensione media delle aziende a riso italiane si aggira attorno ai 55 ettari, anche se con una tendenza alla concentrazione, c'è poco da stare allegri.
"Si va sotto - ha dichiarato ad AgroNotizie Giuseppe Sarasso, agronomo che ha presentato la ricerca - perché i costi sono incomprimibili, soprattutto quelli burocratici, e i ricavi sono quelli che sono. Incrementare la produzione richiede anni di lavoro e di genetica e i prezzi sono crollati".

L'Associazione propone anche interventi che possono, se attuati contemporaneamente, puntare a salvare le aziende risicole italiane che, non bisogna dimenticare, contribuiscono anche a mantenere in ordine il territorio. Bisogna organizzarsi e andare verso reti d'impresa, fare un'accurata programmazione delle semine, in modo da evitare scompensi sul mercato (per questo punto occorre il coordinamento fra ditte sementiere, industria e aziende agricole), liberare le aziende dalla burocrazia, puntare sulla ricerca genetica, incentivare l'utilizzo dell'agricoltura di precisione, razionalizzare il parco macchine e premere sull'Unione europea perché ponga un freno all'invasione del riso da parte dei Pma o almeno vigili affinché anche il prodotto in arrivo da quei paesi rispetti le stesse condizioni in fatto di utilizzo di fitofarmaci.

Insomma occorre puntare su aggregazione, organizzazione, qualità. Se qualcosa non cambierà il rischio è la scomparsa della risicoltura italiana. "Io prevedo un aumento della superficie media delle aziende - ha concluso ancora Sarasso - speriamo che ciò avvenga in maniera non traumatica".