L’estensione della superficie agricola -ha evidenziato la Cia- è legata direttamente alla sicurezza alimentare. Ed è per questo il consumo di suolo coltivato rischia di riflettersi sulle cifre dell’approvvigionamento alimentare in Italia, dove a oggi si arriva a coprire il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro. Dovendo ricorrere alle importazioni per coprire questo deficit produttivo. D’altra parte, però, gli italiani credono nell’agricoltura e l’88 per cento di loro si dichiara preoccupato per l’abbandono delle campagne e per la crisi del settore, che paga non solo gli effetti del maltempo e dell’embargo russo ma anche le scelte della politica, a partire dall’Imu. “Se da una parte cresce la domanda di cibo, dall’altra diminuiscono le terre coltivate. Una contraddizione che va fermata e affrontata -ha spiegato il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino-. Altrimenti si rischia di aumentare la nostra dipendenza dall’estero nel capitolo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano per i prossimi anni di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che ci porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel Pianeta”.
Non solo. Perdere terreno agricolo vuol dire anche mettere a rischio un patrimonio paesaggistico che, tra turismo rurale e indotto legato all’enogastronomia tipica, “vale” più di 10 miliardi di euro l’anno. Proprio nelle pieghe del paesaggio agricolo infatti -ha spiegato la Cia- si “nascondono” quei 4.813 prodotti tradizionali italiani che rappresentano la storia e la spina dorsale dell’agroalimentare nazionale. Prodotti tipici, locali e biodiversi che da un lato rendono il made in Italy così ricercato sui mercati stranieri, ma anche così necessario per la ripresa dell’economia interna, e dall’altro però sono anche i più vulnerabili di fronte alla minaccia del consumo di suolo. Inoltre, non si può dimenticare che la mancata manutenzione del territorio, il degrado, l’incuria, la cementificazione selvaggia e abusiva, l’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore, contribuiscono a quei fenomeni di dissesto idrogeologico del Paese che sono alla base di tragedie anche recenti -ha ricordato la Cia-. Tra frane, alluvioni, smottamenti e piene, l’Italia ha il triste primato in Europa per il maggior rischio idrogeologico, un “pericolo” che coinvolge quasi il 10% della superficie nazionale e riguarda ben 6.633 comuni, ovvero l’82% del totale. Quindi tutelare il suolo significa proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto e in questo senso il ruolo degli agricoltori è fondamentale. I terreni coltivati, infatti, giocano un ruolo essenziale per stabilizzare e consolidare i versanti e per trattenere le sponde dei fiumi, grazie anche alla capacità di assorbimento e di riduzione dei tempi di corrivazione. Ogni forma di coltivazione obbliga a un corretto regime delle acque e questo comporta una sensibile diminuzione dell’esposizione dei versanti al rischio di smottamenti e dei fondovalle al pericolo di allagamenti.
Non ultimo, l’impatto sui cambiamenti climatici: come ha confermato l’Ispra nel suo ultimo rapporto, la cementificazione galoppante ha comportato l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di Co2 solo tra il 2009 e il 2012, per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro.
Ecco perché “ora c’è bisogno di un radicale cambio di passo sul tema -ha detto Scanavino-. Sono tanti i motivi per cui oggi servono nuove e adeguate politiche di prevenzione del territorio, a partire dalla legge ‘salva suolo’, un provvedimento urgente e necessario che però, tra proposte ferme in Parlamento, modifiche del testo e iter mai conclusi, non riesce ancora a vedere la luce”. A misure del genere bisogna poi affiancare una puntuale azione di vigilanza e controllo delle situazioni a rischio, che deve coinvolgere necessariamente gli operatori agricoli. “Gli agricoltori devono esercitare un ruolo di primo piano nella difficile impresa di tutela del territorio -ha aggiunto il presidente della Cia-. Gli strumenti esistono e si attuano tramite le convenzioni tra le amministrazioni locali e le imprese agricole, che in un’ottica di sussidiarietà possono esprimere multifunzionalità e pluriattività”. Insomma, ha chiosato Scanavino al termine dei lavori, “non c’è più tempo da perdere. Occorre porre immediato riparo e lavorare in tempi veloci per costruire un sistema ambientale realmente sostenibile, valorizzando il ruolo dell’agricoltura quale volano di riequilibrio territoriale, produttivo e sociale”.
Oltre ai ministri Martina e Galletti, sono intervenuti al convegno Paolo De Castro, presidente Gruppo S&D commissione Agricoltura Parlamento europeo; Giovanni La Via, presidente commissione Ambiente Parlamento Ue; Claudia Sorlini, Comitato scientifico Expo 2015; Enrico Rossi, presidente Regione Toscana; Dario Nardella, sindaco di Firenze; Giampiero Maracchi, presidente Accademia dei Georgofili; Luca Brunelli, presidente Cia Toscana; Cinzia Pagni, vicepresidente vicario nazionale Cia.
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Fonte: Cia