Le donne rappresentano ormai, secondo i dati Istat, più del 39% della forza lavoro impiegata nell’agricoltura italiana, e complessivamente il 30% delle aziende agricole è gestito da imprenditrici, con percentuali particolarmente elevate in alcune Regioni come la Valle d’Aosta (44,7%) o la Liguria (42,5%).

Un esercito di lavoratrici efficienti e motivate, secondo quanto emerge dalle indagini dell’Osservatorio sull’imprenditoria femminile in agricoltura dell’Unioncamere, ma esposte più degli uomini ai fattori di rischio. 

Danni alle braccia e al collo, causati dai lavori agricoli, si riscontrano nelle donne più frequentemente che negli uomini, secondo quanto contenuto nelle linee guida dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu Osha), e a questi si aggiungono i danni all’apparato riproduttivo causati da pesticidi e agenti biologici, e tutti i rischi derivanti dall’uso di mezzi e attrezzi meccanici (dal trattore all’aratro, dalle macchine per la raccolta a un’infinita gamma di attrezzature) spesso pesanti e poco ergonomici per le lavoratrici. 

Nel calcolo dei fattori di rischio le caratteristiche fisiche femminili non vengono nemmeno considerate, avverte l’Osa, come se uomini e donne avessero una struttura fisica identica e la stessa fisiologia.

Di questi temi si parlerà a Roma il 24 settembre prossimo nell’ambito del “GASForum 2010”, il Forum mondiale per la Sicurezza in agricoltura promosso dall’ente nazionale meccanizzazione agricola Enama, che – grazie anche alla pre- senza della presidente dell’Osservatorio nazionale per l'imprenditoria e il lavoro femminile in Agricoltura (Onlilfa) Veronica Navarra, dedica una sessione proprio alla definizione di criteri e strategie per tutelare la componente femminile operante in agricoltura.

Tra i fenomeni da valutare con particolare attenzione quello degli incidenti che coinvolgono lavoratrici stagionali, spesso senza contratto, oppure donne che eseguono lavori agricoli in quanto mogli del titolare e quindi senza la necessaria copertura assicurativa. Nel Regno Unito il problema è stato affrontato con decisione: il Governo ha stabilito di trattare tutte le donne che a vario titolo operano in azienda come lavoratrici dipendenti, imponendo, anche in presenza di un rapporto di parentela, tutti gli obblighi e le tutele di legge.