C’è qualche buongustaio in tutto il mondo che rinuncerebbe per sempre all’eccellenza del prosciutto crudo Dop italiano? Certamente no, eppure la sopravvivenza di questo straordinario e unico prodotto è oggi messa a rischio da importazioni di decine di milioni di cosce di suino, fresche o surgelate, che entrano legalmente nel nostro Paese ma non si sa bene dove vadano a finire. 

Di sicuro si trasformano in prodotto a basso prezzo e certamente non della stessa qualità delle nostre Dop, che inquina il mercato con una concorrenza non leale e mette in crisi l’esistenza degli allevamenti nazionali. Per questi ultimi più di qualcuno oggi parla di “rottamazione”

L’assessore all’Agricoltura del Veneto Franco Manzato ha ribadito la sua richiesta di dare sostanza alla legge sull’etichettatura, non solo indicando origine e provenienza della materia prima ma anche indicando tutta la filiera dell’export, con la destinazione finale di ciò che entra nei nostri confini perché non venga italianizzato lungo il percorso, nel corso di una conferenza stampa organizzata in una azienda specializzata, quella di Gianni Zonato di Montagnana, capitale storica del prosciutto crudo Dop Veneto Berico-Euganeo. Al suo fianco c’erano allevatori di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, regioni che sono il cuore pulsante dell’allevamento suinicolo nazionale, il presidente del Consiglio regionale del Veneto Clodovaldo Ruffato, il sindaco Sandra Borghesan, e i protagonisti di questa vicenda, i suinetti a rischio di futuro.

“Il flusso di cosce dall’estero, principalmente Germania, Olanda e Belgio, nel solo 2010 è stato pari a circa 45 milioni di pezzi – insiste Manzato – rispetto ad una produzione nazionale che nello stesso anno non arriva a 10 milioni di capi, il 9% dei quali prodotti in Veneto. E’ un dato che evidenzia la dipendenza della nostra industria di trasformazione da materia prima che proviene da fuori confine e che troppo spesso viene italianizzata. In Veneto gli arrivi si concentrano nelle province di Treviso, Padova e Verona, le stesse che guidano la classifica in termini di allevamenti e trasformatori”.

Gli ha fatto eco Clodovaldo Ruffato ricordando che le produzioni non Dop utilizzano carne estera, anche se spesso sono marchiate Igp, in quanto la normativa comunitaria consente in questi casi che solo una delle fasi produttive sia realizzata all’interno di una determinata area geografica: in questi casi è sufficiente la lavorazione. Anche per questo motivo l’approvazione della legge che ha imposto l’indicazione obbligatoria in etichetta è un’importante opportunità per i consumatori e gli agricoltori.