Sicurezza alimentare e tracciabilità: l'una non può esistere senza l'altra. E' il consumatore che lo chiede, e di conseguenza il mercato lo impone.
Le emergenze sanitarie che negli ultimi anni hanno colpito di volta in volta i vari comparti zootecnici hanno fatto scuola, e contribuito a sensibilizzare il consumatore che si è fatto più attento ed esigente.
La tutela della salute pubblica e del patrimonio zootecnico messa in atto attraverso un'attività di sorveglianza sanitaria e di monitoraggio epidemiologico è una delle principali finalità dell'anagrafe bovina, che a sua volta costituisce la base del processo di tracciabilità ed è regolamentata da una normativa europea che tutti i Paesi membri della Ue hanno applicato con rigore dalla metà degli anni Novanta.
"Forse gli Stati che solo negli ultimi tempi sono entrati a far parte dell'Europa a 27 – spiega Giancarlo Belluzzi, vicepresidente dell'Anmvi (Associazione nazionale medici veterinari italiani) – possono ancora incontrare qualche difficoltà applicativa, ma si tratta di ostacoli facilmente superabili".
In cosa consiste l'anagrafe bovina?
"I dati identificativi di ogni animale, entro 20 giorni dalla sua nascita, devono essere immessi nella banca dati nazionale che in Italia ha sede a Teramo. Si tratta di un'operazione che ovviamente spetta all'allevatore, il quale deve fare immediatamente richiesta delle marche auricolari che vengono autorizzate dai Servizi veterinari dell'Ausl di competenza territoriale. Applicate le marche, l'allevatore deve aggiornare lo specifico registro di stalla, che può essere in formato cartaceo o elettronico, a quel punto l'Ausl rilascerà il passaporto dell'animale, un documento che lo accompagnerà in tutti i suoi spostamenti fino alla macellazione".
A cosa serve il passaporto?
"Premesso che quando parliamo di dati identificativi ci riferiamo a uno specifico codice alfanumerico che individua quel preciso animale – continua Belluzzi – nel passaporto troviamo la foto del bovino, la data e il comune di nascita, l'azienda di appartenenza, la maternità e la paternità. Non solo, e questo è forse l'aspetto più significativo, in esso dovranno comparire tutti i passaggi aziendali a cui l'animale è stato sottoposto fino al momento della macellazione".
A quel punto cosa avviene?
"Il macellatore si occupa del ritiro del passaporto che viene consegnato al veterinario dell'Ausl il quale, dopo aver verificato la correttezza delle procedure di macellazione, scarica l'animale dalla banca dati".
Questo per quanto attiene la vita dell'animale. E rispetto allo stato sanitario quali sono le procedure?
"Insieme al registro relativo ai passaporti di tutti gli animali presenti, è previsto in azienda anche quello dei trattamenti, dove l'allevatore deve riportare tutte le terapie sanitarie effettuate su ogni animale lungo l'intero corso della sua vita".
Sono previsti controlli per accertare che ogni intervento sia effettuato correttamente?
"Certamente – risponde Belluzzi – ogni anno l'Ausl di competenza territoriale organizza dei piani di verifica avvalendosi dei cosiddetti ‘audit', medici veterinari preposti a questi compiti che effettuano le loro verifiche in allevamento".
L'ausilio del computer può dare una mano, ma per un allevatore il carico di lavoro aumenta e qualcuno potrebbe cercare di evitare qualche passaggio…
"Impossibile. La stragrande maggioranza degli allevatori italiani ha saputo perfettamente adeguarsi alle normative intuendone l'importanza, ma nel caso qualcuno preferisse per così dire ‘rischiare', è facilmente intuibile che gli sarebbe difficile eludere i controlli perché una volta arrivati al macello i suoi bovini non verrebbero macellati con le inevitabili, negative conseguenze del caso".
Se per la carne bovina italiana ed europea questo processo di tracciabilità è garantito, qual è la situazione per quella che arriva dall'estero?
"Per entrare nel territorio nazionale – puntualizza il vicepresidente dell'Anmvi – la carne bovina proveniente dai cosiddetti Paesi terzi deve rispondere a precisi requisiti sanitari che sono alla base di accordi bilaterali siglati tra gli Stati di provenienza e quelli della Ue. Questo è un passaggio fondamentale perché gli accordi prevedono anche un elenco di macelli autorizzati che, impegnandosi formalmente a sottostare ai controlli istituzionali previsti, garantiscono la tracciabilità della provenienza di animali da determinati allevamenti".
L'Italia continua a importare almeno il 50% della carne bovina consumata ogni anno. Una percentuale elevata che si potrebbe ridurre aumentando la quota di produzione nazionale. La certezza di una tracciabilità sicura, stando a quanto ci ha spiegato, esiste sia per il prodotto nazionale/europeo che estero. Quale motivo dovrebbe allora indurre il consumatore italiano ad acquistare più carne bovina nazionale?
"E' molto semplice – conclude Belluzzi – Una filiera corta ha meno passaggi, fa percepire al consumatore una visione di come è stato allevato l'animale più sicura e garantita. Non è un passaggio di poco conto che, va comunque detto, non toglie nulla alla qualità delle carni bovine estere".
Forse l'ulteriore sforzo da fare è ancora una volta quello di riuscire a comunicare adeguatamente il capillare processo di tracciabilità proprio al consumatore. Uno sforzo che puntando sulla chiarezza delle informazioni gli possa permettere di scegliere consapevolmente quale carne consumare, quale qualità preferire.
A MeatItaly, il Salone dedicato alla filiera della carne bovina (Cremona, 22-25 ottobre 2009) l'aspetto della corretta comunicazione su tracciabilità e salubrità delle produzioni sarà uno dei numerosi temi al centro della rassegna fieristica che intende dare ampio spazio e valorizzazione ad uno dei più importanti settori dell'agroalimentare.
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Fonte: Cremona Fiere