A dirlo è Giampiero Maracchi, presidente dell'Accademia dei Georgofili e soprattutto climatologo di fama internazionale. Il primo a smorzare i toni della polemica e a invitare piuttosto ad approfondire la questione Cop21 è proprio lui.
"Sul piano personale il presidente Trump potrà suscitare o meno simpatia, ma la questione è di tutt'altro genere - mette in chiaro Maracchi -. I media, a mio parere, avrebbero dovuto chiedere lumi su quanto affermato dal presidente alla Casa Bianca".
E cioè?
"Trump ha affermato: Gli accordi ci costano 100 miliardi, sono troppo cari, io non voglio tenere questa linea, perché ne soffrono i cittadini americani, voglio dunque rinegoziarli. Benissimo. La mia domanda e quella che forse avrebbero dovuto porsi i media è la seguente: rinegoziare in che modo? In quale direzione pensano di andare gli Usa?"
Lei che risposta si è dato?
"Io ho l'impressione che Trump cerchi di barcamenarsi fra le varie lobby del proprio paese. A mio avviso il presidente è un tipico tycoon, che non ha punti di vista predeterminati e granitici, è un uomo che pensa alla convenienza economica.
La sua frase legata al rinegoziare l'accordo di Parigi lascia aperte molte strade e, qualora vedesse opportunità sul piano economico e occupazionale dalle rinnovabili, credo che Trump non avrebbe alcun problema a cavalcare le fonti energetiche alternative che, peraltro, oggi garantiscono molti più occupati rispetto all'economia del carbone. La lobby delle rinnovabili è molto forte negli Stati Uniti e la diffusione di tali fonti verdi è piuttosto diffusa. Non so se ha mai visto i parchi eolici o solari che ci sono negli Stati Uniti. E' vero che sono in molti casi collocati nei deserti, ma hanno un impatto paesaggistico significativo, in Italia sarebbero proibiti. Poi c'è un altro aspetto da non sottovalutare".
Quale?
"La concorrenza con la Cina, proprio sul terreno delle rinnovabili. Pechino si sta inserendo nel settore della produzione dei pannelli fotovoltaici e non sono così sicuro che gli Stati Uniti siano disposti a cedere la propria quota di mercato ai cinesi".
C'è davvero un'emergenza legata ai cambiamenti climatici?
"Fin dagli anni Novanta ho sostenuto il tema dei cambiamenti climatici e continuo ad essere un sostenitore del fatto che i cambiamenti sono in atto e che il riscaldamento globale è un dato di fatto".
Che cosa pensa dell'accordo di Parigi?
"Le 31 pagine del documento dell'accordo di Parigi rimandano alle diverse Commissioni create. All'interno dell'accordo sono contenute molte dichiarazioni di principio che non si possono non sottoscrivere.
Tutto il problema sta nel modello economico attuale: quando si risolverà il modello globalmente diffuso dei sistemi produttivi attuali, allora si risolverà il problema del clima".
Al di là delle dichiarazioni di principio, c'è qualche falla?
"Mancano le soluzioni concrete. Le indicazioni su come superare l'attuale modello economico e come contenere i cambiamenti climatici non sono molto precise. Al contrario, l'Unione europea, annunciando alcuni anni fa il modello 20-20-20, era stata molto più chiara. Anche l'Italia avrebbe dovuto attenersi a un piano di sviluppo ad esempio delle rinnovabili meglio definito. Anche gli aspetti finanziari dell'accordo di Parigi non sono così chiari.
Per quello che conosco, però, non ho gli elementi per dire che Trump ha ragione o torto ad affermare che il costo che gli Stati Uniti devono sostenere è di 100 miliardi all'anno. E' una cifra mostruosa.
Se Trump dovesse ad esempio dire che vuole rinegoziare per capire meglio come vengono spesi i soldi degli Stati che hanno sottoscritto l'accordo di Parigi, francamente non gli darei tutti i torti".