L’Italia nel 2017, in base ai dati Istat, ha prodotto 38.856 quintali di pistacchio per una superficie coltivata di 3.870 ettari. Rispetto al 2007 l'incremento di produzione è stato del 18%, visto che i pistacchi prodotti sono stati 28.210 quintali per una superficie di 3.671 ettari. Le aree italiane dove si coltiva il pistacchio sono principalmente la Sicilia, 3.864 ettari nel 2017 con una produzione di 38.780 quintali, la Basilicata, 5 ettari con una produzione di 56 quintali, e la Puglia, 1 ettaro con una produzione di 20 quintali.
IL PISTACCHIO
La produzione mondiale stimata nel 2016 di pistacchio è di 1.057.566 tonnellate per una superficie coltivata di 639.296 ettari. L'offerta mondiale è dominata dal duopolio Iran (346.000 tonnellate su una superficie di 315.151 ettari) e Usa (406646 tonnellate su una superficie di 96.720 ettari). L'Italia è al decimo posto con 3.649 tonnellate su una superficie di 3.848 ettari (Fonte dati Faostat, 2016).Il pistacchio è pianta rustica con un basso fabbisogno di nutrienti e che si adatta bene a climi siccitosi ed aridi (quasi desertici) con lunghi periodi di assenza d'acqua e con un'elevata tolleranza alla salinità. Tuttavia esistono diversi problemi colturali che ne possono complicare la coltivazione. E per questo motivo serve comunque un'adeguata tecnica colturale. Le principali difficoltà agronomiche sono: presenza di piante maschili e femminili (specie dioica), alta percentuale di aborto degli ovuli fiorali fecondati, scalarità di maturazione, eccessiva alternanza di produzione, facilità dei frutti a cadere a terra prima della maturazione e la difficile capacità dell'endocarpo ad aprirsi anche a maturazione raggiunta.
Il consumo di pistacchio in Italia è in aumento, trascinato dal trend salutistico
(Fonte foto: © AlexasPhotos - Pixabay)
Bronte, la Dop eroica
All'interno del territorio siciliano l'80% della produzione è concentrata nelle aree di Bronte, Adrano e Biancavilla, tutte e tre posizionate lungo le pendici dell'Etna nel catanese. Qui la coltivazione avviene in modo ancora tradizionale: una vera e propria produzione 'eroica' e 'naturale'. Infatti nei terreni lavici, disagiati ed accidentati di queste aree nascono spontaneamente piante di terebinto o Pistacia terebinthus le quali vengono sul posto innestate con marze di determinate varietà di Pistacia vera. Questo tipo d'approccio rende la coltivazione difficile e poco adattabile alle innovazioni tecniche ed alla meccanizzazione delle opere colturali. Il pistacchio di Bronte è soggetto alla Dop con drupe che devono rispondere alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal Reg. (CE) 510/2006 ed indicati nel disciplinare di produzione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.34 dell'11 febbraio 2010."La denominazione di pistacchio verde di Bronte - viene spiegato nel disciplinare - è riservato al prodotto (in guscio, sgusciato o pelato), delle piante della specie botanica Pistacia vera, cultivar Napoletana (chiamata anche Bianca o Nostrale), innestata su Pistacia terebinthus.
E' ammessa una percentuale non superiore al 5% di piante di altre varietà e/o di portainnesti diversi dal P. terebinthus. Tale percentuale è riferita all’insieme di tutte le piante presenti negli impianti.
Gli impianti possono essere sia specializzati che consociati, con densità di piantagione variabile in dipendenza della tipologia d'impianto e della natura del terreno. In abbinamento alle forme libere di allevamento delle piante 'ceppaia', 'vaso libero', è ammesso anche l'allevamento 'monocaule', per agevolare la raccolta e le operazioni colturali.
Nel territorio i pistacchieti insistono su terreno lavico, con limitatissimo strato arabile. Su tale tipo di substrato il terebinto (Pistacia terebinthus) cresce spontaneo e costituisce il principale portinnesto della specie P. vera. Questi pistacchi hanno forma allungata e poco compressa, simile ad un'oliva, e con colore del guscio esterno violaceo e del frutto interno verde smeraldo. Infine il gusto è molto dolce ed aromatico".
La Sicilia rimane il territorio principe in Italia, ma cresce l'interesse in altre aree
(Fonte foto: © StockSnap - Pixabay)
Il pistacchio di Stigliano
Negli ultimi anni si è aperta la possibilità di fare pistacchio anche in Basilicata, allo scopo di creare una produzione di valore alternativa a quella che nell'immaginario collettivo è strettamente legata a Bronte (Ct).Qui però gli impianti sono stati creati per fare una produzione intensiva, anche grazie alla nuova disponibilità di portainnesti più innovativi ed alle nuove conoscenze tecnologiche. La storia ha inizio negli anni '90 quando Innocenzo Colangelo decise d'importare piante di pistacchio della varietà Aegina dalla Grecia, convinto di poter fare un pistacchieto in Basilicata. Il fervore di Colangelo fu contagioso, trasferendo la passione al cugino Vincenzo Maria Ricciuti. Decisero così assieme di convertire alcuni terreni (dedicati ad olivo, grano duro ed ortaggi vari) proprio al pistacchio.
"Nel 1992 vennero impiantati i primi 5 ettari di pistacchio nell'area di Stigliano - spiega Vincenzo Maria Ricciuti, proprietario dell'omonima azienda agricola -. Una prima produzione si raggiunse dopo 5-6 anni. Oggi questi ettari sono in piena produzione: quantità complessiva nel 2017 di circa 150 quintali. A questa superficie negli anni sono stati aggiunti altri ettari per un valore complessivo di 30 ettari (di cui 12 in 'piena' produzione). Questa è la più vasta coltivazione di pistacchi a filari dell'intero paese e tra le più grandi d'Europa. Si tratta d'impianti con sesti regolari dove è possibile intervenire regolarmente con tecniche e pratiche meccaniche e con adeguati sistemi irrigui, a differenza di quanto avviene nell'areale di Bronte. Questa meccanizzazione ci ha permesso anche di migliorare l'impatto dei costi di produzione. Grazie al connubio tra innovazione e tradizione il pistacchio di Stigliano è diventato riconoscibile ed apprezzato dal consumatore: un vero e proprio brand da spendere in tutto il mondo.
Destiniamo principalmente i nostri pistacchi all'industria di trasformazione, alle pasticcerie ed a chi vuole fare una gastronomia di qualità. Il nostro prodotto è al 100% naturale visto che abbiamo scelto l'uso del solo freddo per effettuare la conservazione dopo la raccolta e di non usare fumigazioni e prodotti chimici per eseguire la difesa delle piante. Inoltre proprio grazie ad adeguate tecniche agronomiche ed alla gestione a filare siamo in grado di limitare la problematica dell'alternanza di produzione".