Oltre ai problemi legati ai cambiamenti climatici e alla volatilità dei mercati, gli agricoltori devono affrontare una sfida esistenziale: la mancanza di manodopera. Sempre meno persone vogliono lavorare in agricoltura e l'età media degli addetti continua a crescere (in Europa è di circa 60 anni). Per lungo tempo la situazione è stata tamponata con l'arrivo di lavoratori stranieri, moltissimi dall'Est Europa ma anche da Nord Africa e Sud Est Asiatico. Oggi però questo flusso di capitale umano si è ridotto e molte aziende agricole non riescono a trovare operai che guidino il trattore, che raccolgano la frutta o gli ortaggi in serra.
Una soluzione a questo problema potrebbe arrivare dall'automazione e dall’impiego di robot agricoli, in grado di portare a termine in maniera autonoma compiti sempre più complessi. "Si è iniziato ad automatizzare i compiti più ripetitivi e meno complessi, come ad esempio il diserbo o l'applicazione di agrofarmaci, ma si arriverà anche a rendere efficienti task molto delicati e complessi come la raccolta della frutta o la potatura di una vite", ci racconta Thierry Le Briquer, specialty crop business development manager di CNH Industrial, che incontriamo durante il World Agri-Tech Innovation Summit, evento dedicato all'innovazione in agricoltura di cui AgroNotizie® è partner.

Durante il World Agri-Tech Thierry Le Briquer ha partecipato ad una tavola rotonda insieme a Justin Kern (DCVC Bio), Daria Batukhina (Kubota), Christophe Aubé (AgreenCulture) e Baptiste Rouesné (UV Boosting)
Parliamo delle macchine agricole oggi in commercio. Trattori e attrezzi sono sempre più smart, efficienti e precisi, ma anche costosi. Gli agricoltori riescono a sfruttare al meglio le potenzialità delle macchine 4.0?
"Noi lavoriamo in un ambito, quello delle colture speciali, dove la pressione all'adozione di innovazione è altissima: cambiamenti climatici, difficoltà a trovare manodopera, operazioni manuali complesse come la potatura e la raccolta... gli agricoltori hanno un disperato bisogno di soluzioni efficaci. Eppure, il problema più grosso è la 'digeribilità' della tecnologia. Ciò che conta è trovare un equilibrio tra innovazione, costo e capacità di utilizzo. E questo vale anche per la robotica".
Quali sono le operazioni più facilmente robotizzabili?
"Quelle più ripetitive e faticose: gestione del suolo, sfalcio, erpicature leggere, rullatura del cotico erboso. Sono tutte attività che possono essere automatizzate con robot semplici, magari supervisionati da un operatore in campo. È già possibile rinunciare al trattorista anche nel caso dei trattamenti fitosanitari, un’operazione pericolosa dove l’autonomia è molto interessante".
Quali sono i principali ostacoli alla diffusione di queste tecnologie?
"Sono due in particolare, oltre alla complessità di utilizzo. Il primo è l'interoperabilità dei dati: ogni casa costruttrice sviluppa il proprio sistema di gestione, ma ogni database è chiuso in silos che non si parlano. Questo è davvero un peccato perché si potrebbe semplificare la vita degli agricoltori ed estrarre maggiore valore dai dati se le informazioni fossero condivise".
Non è la stessa industria che talvolta ha poco interesse a rendere interoperabili i software che gestiscono i dati?
"Da parte nostra ci sono sforzi per cercare di far parlare software differenti, ma è un lavoro molto complesso perché ogni azienda ha propri standard e metodologie di registrare i dati che è difficile rendere interoperabili. Il nostro obiettivo è quello di avere una piattaforma aperta a tutti, dove anche soggetti terzi possono venire ad offrire i propri servizi e tutto l'ecosistema nel suo complesso può avvantaggiarsi di una condivisione del dato".
Qual è il secondo ostacolo?
"Il secondo ostacolo è il costo: il mercato delle colture speciali ha volumi piccoli e richiede delle macchine estremamente specializzate. Ogni adattamento costa e i tempi di ritorno dell’investimento sono lunghi. Noi cerchiamo di riutilizzare tecnologie sviluppate per le colture estensive, ma anche l’adattamento fa salire i costi".
E gli agricoltori? Sono pronti a utilizzare queste tecnologie?
"Lo saranno. Non hanno scelta. Ma vanno aiutati. Serve rendere la tecnologia accessibile e intuitiva. Come dicevo, digeribile. E poi bisogna dimostrare il valore aggiunto. Se semplifica la vita o fa risparmiare, allora l’agricoltore è pronto ad usarla. Ma bisogna lavorare con lui, partire dalle esigenze reali e non da gadget da laboratorio. Il nostro approccio è costruire un ecosistema che accompagni l’agricoltore tutto l’anno, dalla gestione del suolo alla logistica".
In questo sforzo è meglio sviluppare le soluzioni internamente o adottare un approccio di open innovation, aperto a startup e centri di ricerca?
"Le macchine che rappresentano il nostro core business, come le vendemmiatrici o i trattori, le sviluppiamo internamente. Ma per le tecnologie mancanti preferiamo collaborare con startup specializzate. Non vogliamo assorbirle, come fanno altri marchi, perché richiederebbe investimenti ingenti e perderebbero la loro agilità. Le lasciamo nel loro ambiente e le supportiamo con investimenti, rete commerciale e capacità industriale. È un modello win-win".
Collaborate già con realtà interessanti?
"Sì. Ad esempio con Advanced Farm Technologies per la raccolta automatica delle mele. La loro soluzione utilizza un braccio robotico e un sistema di computer vision molto efficiente. E poi con Stout, per la sarchiatura robotizzata delle orticole. Ogni startup lavora su una nicchia e noi le aiutiamo a crescere senza snaturarle. Serve un approccio modulare, adattabile alle diverse realtà agricole".
Parliamo di elettrificazione: vera opportunità o moda del momento?
"Per le colture speciali è una vera opportunità. Le macchine sono più piccole, i campi più contenuti, spesso sotto serra, i cicli operativi più brevi. Ma un trattore elettrico ha davvero senso se fa parte di un ecosistema energetico. Immaginiamo aziende con pannelli solari, un biodigestore, pale eoliche... L’elettricità può diventare una risorsa aziendale che rende l'alimentazione delle macchine sostenibile sia sotto il profilo economico che ambientale. E poi c’è il tema del riuso delle batterie tra attrezzature differenti. Ma anche qui manca una standardizzazione".
E dal punto di vista normativo? In Europa siamo pronti alla robotica autonoma?
"Manca chiarezza. Abbiamo robot in campo, ma se succede un incidente, non è chiaro chi è responsabile. Il costruttore? Il proprietario? Facciamo un paragone con il settore automotive: se una macchina a guida autonoma va a sbattere, di chi è la colpa? Del costruttore o del guidatore che non ha vigilato la macchina? Serve una regolamentazione che dia certezze e protegga il settore. Altrimenti, il rischio è che il primo incidente paralizzi il comparto".
Alcuni dicono che l’innovazione non è un driver d’acquisto. Lei cosa ne pensa?
"È vero che l'agricoltore non vuole pagare per l’innovazione. Ma se dimostriamo che migliora la qualità del raccolto o riduce i costi, cambia idea. Ad esempio, se riesci a misurare il grado zuccherino dell’uva durante la vendemmia, puoi ottimizzare la qualità del vino. Oppure, se riesci a prevedere quanti bins servono in un determinato frutteto, questa informazione rappresenta un valore aggiunto importante. L’innovazione funziona quando risolve problemi concreti e si ripaga da sola".
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