La filiera manifatturiera dell’alimentare nel Mezzogiorno d’Italia vale oltre 29,2 miliardi di euro di fatturato all’anno, ed ha una buona capacità di creare ricchezza sul territorio dove opera, ma suscettibile di ulteriore crescita, e al tempo stesso ha numeri di tutto rilievo per quello che riguarda l’export, gli addetti e la capacità di attivare l’economia del resto del paese. È quanto emerso a Napoli il 22 maggio 2018, nel corso di un convegno nella sede del Banco di Napoli, durante la presentazione della ricerca realizzata da Srm, il centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, “Il valore delle filiere produttive nel nuovo contesto competitivo e innovativo, tra Industria 4.0 e Circular economy”, sesto volume della collana di studi sui settori manifatturieri di punta del Mezzogiorno.

Il convegno, introdotto dal presidente del Banco di Napoli, Maurizio Barracco ha avuto l’obiettivo di stimolare un dibattito rivolto ad esprimere l’importante ruolo che il Mezzogiorno riveste in cinque ­filiere produttive nazionali, alimentare, abbigliamentoautomotive, aerospazio e farmaceutica.

Sono stati analizzati i punti di forza e le aree di rischio della produzione meridionale, e quei fattori chiave – come la logistica e l’innovazione – che assicurino le sue potenzialità di crescita ed espansione, nonché le proposte di intervento, identificando i possibili obiettivi di politica industriale per l’area meridionale.
E anche per l’alimentare il futuro sarà sempre più affidato all’affinamento della logistica, all’utilizzo intelligente delle nuove tecnologie digitali, alla qualità dei nuovi investimenti, in vista dell’ottimizzazione dei rapporti di filiera e della competitività delle imprese: per accrescere il peso del fatturato e del valore aggiunto da realizzare al Sud.

Ed ecco il profilo della filiera manifatturiera dell’alimentare, dall’Abruzzo alla Sicilia e passando per la Sardegna, strettamente legata all’agricoltura del Sud: dal grano duro per la pasta, al pomodoro per le conserve, dalla zootecnia da latte per il latte fresco e la mozzarella di bufala, dalle produzioni primarie per la trasformazione in vino e altre conserve alimentari vegetali e non.

Intanto il fatturato stimato del comparto: 29 miliardi e oltre 218 milioni di euro. Le esportazioni verso l’estero sono oltre 5 miliardi di euro, pari al 17,22% dei ricavi. Importante anche la quota di valore aggiunto sul fatturato: 5,6 miliardi: il 19,2%. Il tutto grazie al lavoro di 27.434 aziende di trasformazione e di fornitura di altre materie prime, attrezzi e servizi, che occupano quasi 124mila addetti. La dimensione media per occupati risulta di 4,5 addetti per azienda.

Rilevanti sono poi gli effetti moltiplicativi generati nelle cinque filiere considerate: in generale tutti i comparti nel Mezzogiorno attivano un effetto endogeno abbastanza significativo, benché inferiore rispetto alla media italiana. È soprattutto l’alimentare che presenta l’effetto endogeno più alto: 100 euro investiti nell’alimentare meridionale ne attivano altri 149 all’interno della macroregione. E si può crescere ancora, magari in direzione proprio del settore agricolo del Sud, ottimizzando i rapporti all’interno della filiera, rendendola ancora più larga e robusta.

Per quanto riguarda la componente esogena, ossia la capacità di attivare valore aggiunto all’esterno dell’area, l'effetto spillover, questa è molto elevata e ciò implica un Mezzogiorno molto attivo nella fornitura di prodotti e semilavorati all’interno della filiera nazionale. In particolare per ogni 100 euro di investimento fatto al Sud l’effetto spillover è molto alto proprio nell’alimentare: 362 euro. Segno evidente che c’è molto spazio per accorciare la filiera e concentrare più ricchezza al Sud.