L’Ovse (Osservatorio studi economici vini effervescenti) registra nei primi sei mesi del 2016, rispetto al primo semestre 2015, un calo aggregato dei volumi di export dell’1,1%, inferiore al calo dei soli vini tranquilli e sfusi, pari al 2,1%: meno di 90mila ettolitri esportati, soprattutto vini confezionati. Molto bene invece per quanto riguarda il valore globale export, in crescita del 3,9%.

Al 30 giugno 2016, il valore del vino italiano spedito all’estero supera i 2,5 miliardi di euro, mai così alto. Si tratta di un preciso segnale che consentirebbe di raggiungere i 5,5 miliardi di euro a fine anno, valore che conferma quel trend di crescita e positivo per l’incremento del fatturato export previsto dall’agroalimentare italiano. I dati migliori e più significativi vengono solo da 4-6 Paesi tradizionali, a testimoniare l’alta concentrazione dell’export made in Italy.

Secondo l’Ovse, il 60% dell’export italiano è concentrato in sei Paesi. Il Prosecco spumante cresce in volumi del 12%, toccando il record assoluto riferito al primo semestre dell’anno, notoriamente inferiore al secondo semestre, con un valore totale ancora più lanciato a +18%, sfiorando da solo il mezzo miliardo di euro, favorito da un trend omogeneo fra prezzi all’origine e al consumo in quasi tutti i Paesi.

L’Asti spumante mantiene i numeri del 2015, ma cresce dello 0,5% il valore alla dogana. Buon inizio di 2016 anche per i vini frizzanti, con una crescita all’estero di Lambrusco, Glera, Trebbiano e Pinot. L’export del vino italiano perde terreno soprattutto in termini di numero di bottiglie, con un andamento semestrale poco regolare, a causa del perseverare di una crisi dei consumi, bassa diversificazione dei mercati e dei canali, oltre alla mancanza degli investimenti stabili e strumentali alla vendita.

Buone performance per l’export grazie alla crescita del valore all’origine riconosciuto dagli importatori – sottolinea Giampietro Comolli, presidente di Ovse – ma rimane grave la situazione sul mercato interno. Il 2016 può portare a una soglia sotto i 30 litri procapite di consumo annuo. Da un lato è un segnale di consumo consapevole, ma che si traduce in un calice di vino ogni 20 giorni a testa nell’arco dell’anno. Urge ancora di più una politica di conoscenza e di cultura su come, dove, quando e perché consumare il vino concordata e integrata al modo di vivere, al benessere e al buon gusto senza puntare solo sul prezzo e promozioni”.