“Il pomodoro cinese invade il mercato italiano. I dati Istat relativi ai primi undici mesi del 2015 dicono che le importazioni di concentrato di pomodoro, dal Paese del Dragone, sono cresciute del 680%, arrivando a toccare quota 70mila tonnellate, pari al 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente”.
Ieri, Coldiretti Campania, ha lanciato così l'allarme per la difesa delle eccellenze agroalimentari regionali. Sottolineando come non vi sia ancora un accordo su come condurre la campagna del pomodoro da industria, con richieste di riduzione del prezzo da parte industriale del 15-20%. Anche se, a ben vedere, l'Istat rileva 60mila tonnellate di import di pomodoro concentrato dalla Cina verso il nostro Paese. Ma non sono queste le uniche discordanze tra Coldiretti e, come si vedrà, l'industria conserviera.

“Nel complesso le importazioni italiane di concentrato di pomodoro nel 2015, stando ai dati Istat dei primi undici mesi, sono ammontate a 150mila tonnellate, ma ne abbiamo esportate ben 312mila e 806 – ribatte Giovanni De Angelis, direttore  dell'Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav), che al Sud riunisce gli industriali del pomodoro di Confindustria e che, sottolinea, – più della metà del pomodoro concentrato che esportiamo è derivato da materia prima italiana, mentre vale la pena ricordare come il concentrato valga appena l’1% del mercato italiano, dove invece sono richiesti i nostri pelati e la nostra passata di pomodoro, interamente prodotta con materia prima nazionale”.

"Il fenomeno dell'importazione di concentrato di pomodoro – afferma invece Gennarino Masiello, presidente di Coldiretti Campania - colpisce fortemente la nostra Regione. Non chiediamo il protezionismo, ma la trasparenza. La crescita dell'import è l'altra faccia della medaglia dell'italian sounding, la speculazione sull'immagine del made in Italy.
C'è chi importa materia prima dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani, senza lasciare traccia attraverso un meccanismo di dumping che danneggia le nostre imprese agricole. Coldiretti si batte per garantire libertà di scelta al consumatore con etichette trasparenti sull'origine degli alimenti, che significa garantire la qualità e bloccare la concorrenza sleale. I consumatori devono sapere che quel prodotto viene da Paesi dove i vincoli ambientali non sono quelli europei e dove non esistono i vincoli sugli agrofarmaci".


Dall’Anicav, De Angelis, sottolinea: ”Non c’è nessuna invasione cinese, se si pensa che nei primi undici mesi del 2015 si sono avuti arrivi dalla Cina per 60mila tonnellate, ma nel 2014 l’import era sceso per effetto del cambio a 8mila tonnellate e stiamo parlando di concentrato, il prodotto meno nobile della filiera: l’industria italiana è disposta invece a valorizzare al massimo le produzioni di pomodoro italiano perché per fare pelato e passata, i prodotti di punta della nostra industria, utilizziamo solo produzione primaria nazionale, come per altro è necessariamente indicato in etichetta, per cui non c’è nessun dumping verso i nostri coltivatori”.

“Al Nord come al Sud - sostiene ancora Coldiretti Campania in una nota - non sono ancora state definite le condizioni contrattuali per il raccolto 2016 perché, insieme ad un contenimento delle superfici coltivate, viene proposta una riduzione anche superiore del 10-15% del prezzo pagato agli agricoltori che non è sostenibile”.

“Ricordo che lo scorso anno l’industria italiana ha ritirato 54 milioni di quintali di pomodoro fresco italiano da destinare alla trasformazione, un’annata record che ha riempito i nostri magazzini – ricorda De Angelis, che inoltre sottolinea – di conseguenza abbiamo invece chiesto una riduzione delle superfici coltivate del 15–20% e, per il prezzo, che è rimesso alla libera contrattazione, la parte industriale indica come punto di riferimento dal quale non allontanarsi quello di 75 euro a tonnellata, pagato mediamente lo scorso anno ai coltivatori spagnoli. Diversamente l’industria italiana rischia di avere problemi di redditività oltre che di competitività sui mercati internazionali".  

Secondo le richieste di Anicav i bacini meridionali dovrebbero quindi produrre non più di 24 milioni di quintali di pomodoro, riducendo gli investimenti di circa 4mila ettari e con una contrazione di prezzo notevole, se si pensa che il prezzo di riferimento per il pomodoro tondo, nel 2015, è stato di 95 euro per tonnellata.