Maggiore organizzazione della commercializzazione, certificazione di qualità e tipicità, confezioni con più “appeal” e una comunicazione del prodotto “mirata”. Sono gli elementi su cui puntare per valorizzare adeguatamente nel mercato globale una delle “punte di diamante” della produzione orticola made in Italy: la patata.
Il rilancio del secondo prodotto orticolo italiano dopo il pomodoro (circa 20 milioni di quintali prodotti e un fatturato di 900 milioni di euro) è stato al centro di “La Pataticoltura italiana: per il consumo diretto – per la trasformazione industriale. Problemi e prospettive”, Convegno di apertura della 2° edizione di Ortomac (23-25 gennaio), Salone delle produzioni orticole organizzato da Agri Cesena nei padiglioni fieristici di Pievesestina di Cesena.
“Vorrei innanzitutto spogliarmi dai formalismi e parlare del ridisegnare le regole e fare un patto tra soggetti che consapevolmente fanno sistema fra loro: produttore, direttore commerciale, distributore, consumatore”. E’ iniziato così l’appassionato intervento del presidente dell’Unapa, Sante Cervellati.
“I primi tre soggetti devono sentirsi inter-dipendenti fra loro e rispondere con una identificazione del prodotto e del processo diretto al consumatore. Occorrono per questo motivo: Contratti di patnership che creino sistema; regole quali disciplinari di produzione e commercializzazione; identità del prodotto quindi creazione del concetto di marchio; rintracciabilità e certificazione del processo.
Questi principi portano quindi ad esaminare i rischi e le opportunità del mercato della patata in Italia – ha proseguito Cervellati – da questo esame si rileva come il mercato aperto crei rischi determinati dal prodotto estero, ma anche dalle opportunità di quello italiano, che si spalma su una fetta di 60 milioni di consumatori italiani. Da tale esame si evince come in Italia sia maggiormente accentuato il prodotto di stagione; basti pensare che, nella nostra penisola, si raccolgono tuberi per otto mesi all’anno, occorre perciò mettere in collegamento i bacini di produzione delle aree più vocate, tenendo conto del consumatore e della identificazione del prodotto: ottimi strumenti di salvaguardia sono riscontrabili nel marchio Dop e Docg..
Inoltre occorre porre l’accento sul costo del prodotto finito, costo che deve contenere la remunerazione di tutto il processo di filiera, dal produttore alla commercializzazione. A tale fine siamo a richiedere l’impegno per l’ottenimento di questo risultato e mi sorge una domanda: perché non iniziare a pensare ad un prezzo di riferimento per il prodotto fresco per bacino, come avviene per il prodotto industriale? A chi non conviene questo? E a chi conviene? E’ proprio da questo interrogativo che parte la mia discussione - ha concluso Cesellati - Il futuro non può essere uguale al presente, dobbiamo guardare avanti partendo dalle solide basi costruite fino ad oggi”.
La patata italiana vanta oggi una produzione di alta qualità che interessa tutto il Belpaese per buona parte dell’anno (nella nostra penisola si raccolgono tuberi 8 mesi all’anno) e ben 20 diverse varietà. La sua coltivazione è diffusa su tutto il territorio, in Sicilia e Puglia si producono patate bisestili e precoci o novelle, in Campania quelle bisestili e novelle, in Calabria (Altipiano della Sila) novelle, normali e tardive.
Le altre zone vocate sono la Piana del Fucino, il Viterbese, la provincia di Bologna, le aree di Montagnana e Cologna Veneta nel Veneto, oltre a produzioni minori, ma di particolare pregio, ottenute in altre zone del Paese. Forte di questi elementi, la patata made in Italy “soffre” però di scarsa organizzazione sul piano commerciale e di una valorizzazione ancora insufficiente.
«E’ assolutamente necessario creare una logica di sistema – ha sottolineato a Cesena Roberto Piazza, del Consorzio “Buone Idee” di Bologna - che garantisca una commercializzazione controllata della patata “made in Italy” e ne metta in risalto gli elementi di forza. Dobbiamo puntare sulla tipicità delle produzioni -come nel caso della Patata tipica di Bologna - abbandonando la logica del prodotto sfuso per passare a quella della piccola confezione, che può esercitare maggiore attrazione sul consumatore di oggi».
Un fattore, quello della differenziazione e del “tipico”, che il Consorzio “Buone Idee” ha fatto proprio con l’esperienza di “Selenella” (patata ricca di Selenio di cui il Consorzio autorizza e controlla la produzione) e su cui a Cesena ha richiamato l’attenzione anche Paolo De Castro, presidente di Nomisma
«La globalizzazione dei mercati – ha dichiarato De Castro intervenendo al convegno - unita all’imminente allargamento dell’Unione Europea a 10 nuovi Paesi (e quindi a 10 nuovi competitors) ci obbligano a puntare sulla differenziazione del prodotto per rimanere competivi. La patata è un prodotto che tende facilmente a diventare “commodity” (prodotto senza marchio) e proprio per questo va valorizzata attraverso un’adeguata politica di marca. In questo senso l’esperienza di “Selenella” è esemplare. Va poi sottolineata l’attuale scarsa organizzazione sul piano commerciale, per cui a fronte dei lievi aumenti (5%) nella produzione di patate verificatisi quest’anno in Italia non si è saputo evitare un calo dei prezzi».
Altro importante “plus” della patata made in Italy sottolineato nel corso dell’incontro è il suo valore dal punto di vista nutrizionale-salutistico.
«E’ ormai un fatto acquisito che l’alimentazione influenza il rischio di malattie in una percentuale che varia dal 20 al 70% -ha evidenziato Alessandra Bordoni, docente dell’Università di Bologna- e la patata per il suo contenuto di Selenio rappresenta a pieno titolo uno degli alimenti “funzionali” (ovvero dotati di componenti bioattivi) che costituiscono la base del principio del “mangiare bene per vivere meglio”».
Un principio che la campagna promopubblicitaria di “Selenella” (per cui nel 2002 sono stati spesi oltre 500.000 euro) ha fatto proprio, come ha spiegato a Cesena Giorgio Piccioni, dell’Agenzia di comunicazione Expansion di San Marino (che ha curato il lancio di Selenella), puntando su un nome che qualifica il prodotto agli occhi del consumatore, rendendolo unico e riconoscibile, e ne evidenzia il contenuto salutistico.
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Fonte: Agronotizie