Ad oggi sono circa una trentina i produttori italiani certificati Global gap sul riso, lo standard si sta affermando, anche perché può conferire un vantaggio competitivo non indifferente, soprattutto per chi indirizza il proprio prodotto all'estero.
Siamo andati a visitare l'azienda agricola Il Torrione (500 ettari a riso), nel vercellese, proprio durante le verifiche per la conferma della certificazione Global gap, controlli che si ripetono una volta all'anno.
"Lo standard Global Gap - ci ha detto Giorgio Reita, auditor Global gap di Nsf Italia - garantisce gli acquirenti sul rispetto delle norme cogenti, ma non solo, lo standard è più restrittivo ancora. Per esempio, per quanto riguarda il quaderno di campagna, richiediamo anche la registrazione delle condizioni meteo nel momento del trattamento. Controlliamo poi la pulizia dei macchinari di raccolta, le condizioni del magazzino di stoccaggio che non devono permettere l'ingresso di pest dall'esterno, le condizioni di lavoro dei dipendenti, viene certificata l'origine delle sementi, escludendo che l'azienda certificata Global gap utilizzi seme autoprodotto e tutto è tracciato dall'origine".
Quanto alla difficoltà di preparare i documenti necessari ad ottenere il certificato, Chiara Montanari, responsabile consulenze tecniche dell'azienda No Pest, che assiste le aziende agricole proprio per la parte più burocratica, ci ha raccontato: "Ci vuole un minimo di strutturazione certo, i documenti sono redatti di solito da diverse persone che concorrono a raccogliere tutto quello che serve. In aziende più grandi può esserci una persona responsabile per Global gap, ma se si tratta di un'azienda che ha sempre operato in regola, non è così complicato certificarsi".
Anche Gianluca Mascellino, broker e socio della società Oryzon Srls, concorda sul fatto che dotare il proprio risone di una certificazione sia un passo importante per cercare di avere un vantaggio competitivo in un mercato, quello del riso, sempre più soggetto a sbalzi e che da anni soffre della concorrenza da parte dei mercati dei Paesi meno avanzati.
Secondo gli ultimi dati dell'Ente nazionale risi, nell'ultima stagione (2017-2018), l'Italia ha importato dai Pma 367.500 tonnellate con un +9% rispetto alla campagna precedente. "Sono ormai una decina di anni che viviamo una volatilità dei prezzi molto accentuata - ci ha detto Mascellino - ciò dipende, sia dalla concorrenza dei Pma sia dal fatto che non c'è più l'intervento pubblico. L'acquisto pubblico di un tot di risone aveva la duplice funzione di stabilizzare il mercato e di stabilire un prezzo di riferimento.
Ora, per sopravvivere nel mercato di oggi, bisogna operare non più solo come produttori ma essere anche un po' commercianti, preoccuparsi di fare marketing, avere attitudini imprenditoriali. Se io fossi un produttore, mi preoccuperei di avere determinate certificazioni, utilizzerei tutta la nuova tecnologia possibile e mi integrerei a valle. Ciò vuol dire pensare di fare un marchio proprio, costruirsi una riseria interna o in consorzio con altri produttori e poi andare a cercare i clienti. Qui i risicoltori cercano di produrre il massimo possibile e di produrre bene ma non ci si preoccupa mai di come piazzare il prodotto. Si sta poi formando un mercato interessante, ci sono compratori che chiedono biologico con origine Italia, si sa che qui il biologico è un'altra cosa, che le norme sono più rigide. La nostra produzione agricola è riconosciuta di pregio e si colloca su un mercato alto. Abbiamo quindi un vantaggio competitivo da sfruttare".