Al momento, in Trentino, nessuna traccia del cancro batterico del kiwi che sta mettendo a dura prova diverse piantagioni italiane e che ha indotto il ministero delle Politiche agricole e forestali ad emanare un apposito decreto per fronteggiare l'emergenza. Lo dicono le diagnosi eseguite dal laboratorio fitopatologico dell'Istituto agrario di San Michele all'Adige che hanno evidenziato, grazie ad innovativi test microbiologici e molecolari di riconoscimento, la completa assenza del patogeno sui campioni di kiwi provenienti dalla zona di Drò e della Vallagarina.
Tuttavia data la recente segnalazione del batterio anche nel vicino Veneto e sulla base delle direttive nazionali, il Centro Trasferimento Tecnologico in collaborazione con l'Ufficio fitosanitario della Provincia autonoma di Trento ha attivato una capillare attività di monitoraggio e diagnosi in tutti gli areali di produzione della provincia.
"La situazione al momento è tranquilla, ma i produttori devono prestare comunque attenzione – spiega Gino Angeli, responsabile dell'Unità fitoiatria – e qualora riscontrassero i sintomi tipici di questa malattia devono segnarlo ai consulenti sul territorio".
Il batterio 'Pseudomonas syringae pv. Actinidiae' agisce a livello vascolare e una volta penetrato nella pianta è difficile da contrastare. I sintomi sono vari e si presentano sui diversi organi della pianta: dall'imbrunimento dei fiori e dei boccioli con conseguente cascola, alle necrosi fogliari di forma irregolare, di color marrone scuro contornate da un alone di colore giallo. Sul tronco e sui tralci possono formarsi cancri con abbondante produzione di essudato di colore rosso scuro mentre i frutti avvizziscono e collassano. Nei casi più gravi si assiste alla morte della pianta. Il batterio può essere veicolato da differenti fattori come pioggia, vento, insetti, animali e uomo.
Questa malattia è stata segnalata per la prima volta in Giappone nel 1989. In Europa i primi casi si sono riscontrati in Italia, nel 1992, dove per 15 anni la malattia si è presentata con una bassa incidenza. A partire dal 2007/2008 è iniziata una vera e propria epidemia che ha interessato la maggior parte degli areali italiani dove la coltivazione e la produzione dell'actinidia rappresentano un valore agroalimentare di eccellenza (nel Lazio, principalmente, ma anche in Piemonte ed Emilia-Romagna). Nel 2010 il patogeno è stato rinvenuto anche in Veneto ed in Calabria.
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Fonte: Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario di San Michele all'Adige