Energia dalle biomasse legnose. Angelo Scaravonati, presidente Rinnova Green Energy (Rge) partner di Bioenergy Expo, il Salone dedicato alle energie da fonte rinnovabile in agricoltura (4-7 febbraio, Veronafiere, in concomitanza con Fieragricola), indica la rotta: “Nella filiera legno-energia gli approvvigionamenti dal bosco o dal sottobosco sono costosi, scarsi e di uso prettamente locale e, soprattutto, andrebbero a depauperare le foreste. Indispensabile, per evitare facili illusioni e sviluppare il sistema, affidarsi al metodo Mrf, cioè Medium rotation forestry” da colture dedicate.
In altri termini, biomasse legnose ad accrescimento rapido, coltivate per quattro-cinque anni. Ovvero quanto dura il ciclo di crescita di queste piante, “assolutamente coltivabili in tutta Italia”. Più precisamente con una convivenza, per evitare problemi di monospecificità e fitosanitari, di pioppo ed olmo (o salice o anche platano) nel nord e centro Italia, fino all’Umbria. Nelle regioni meridionali, intervallando invece una coesistenza fra pioppo ed eucalyptus. Accanto a queste essenze arboree, tuttavia, non si può non menzionare la canna (Arundo donax), che, ancora a livello sperimentale, sembra registrare le migliori performance fra le essenza erbacee.
Accanto alla strada della Mrf, un’altra accortezza necessaria per contenere i costi riguarda una impostazione di filiera corta, con la cippatura delle piante direttamente in loco a fondo campo (cippatura estiva) o con operazioni di lavorazione per un utilizzo immediato.
Angelo Scaravonati, profondo conoscitore del settore delle fonti energetiche in agricoltura, con una specializzazione nel segmento delle biomasse legnose, traccia anche una sintesi in chiave economica, ben sapendo che l’indice di gradimento delle nuove sfide (anche in ottica di energia sostenibile) convive con una convenienza sul fronte dei bilanci aziendali.
La green economy, dunque, secondo Scaravonati deve necessariamente coniugare aspetti ambientali ad esigenze di business. Corollario imprescindibile alla sopravvivenza stessa delle aziende agricole, non dimenticando che gli imprenditori agricoli possono contare su finanziamenti pubblici fino al 40% delle spese presentate, grazie ai Psr.
L’analisi economica parte dai dati produttivi e dai nuovi cloni di pioppo, selezionati proprio per un accrescimento quadri/quinquennale ed una produzione anche di 200 tonnellate ad ettaro nei 5 anni ed un investimento compreso fra le 1.100 e le 1.600 piante/ha. Con un’avvertenza: il sovraffollamento delle piante influisce negativamente sulle difese fitosanitarie, meglio non esagerare nel rapporto fra piante e superficie.
Il vantaggio della coltivazione del pioppo per uso energetico riguarda anche un risparmio indiretto per l’imprenditore agricolo, che per cinque, dieci o 15 anni non compie particolari lavorazioni meccaniche sul terreno con indubbi vantaggi sia di carattere economico che, soprattutto, ambientale.
Un altro aspetto da non trascurare è l’interessante bilancio energetico di questa nuova tecnica colturale (rapporto fra energia in entrata e quella prodotta), che pone questo modello ai vertici di convenienza. Non ultimo la sottrazione di CO2 e la relativa produzione di ossigeno non paragonabile a nessuna altra coltivazione agraria.
Produrre cippato per bioenergia costa intorno ai 40 euro la tonnellata, con una produzione annua che oscilla fra le 30 e le 40 tonnellate l’ettaro/anno.
Dalla produzione di biomassa all’energia. Il Pci, cioè il “potere calorifico inferiore” del pioppo, al 50% di umidità, si aggira intorno alle due mila calorie. Ne consegue che il potenziale della resa energetica del pioppo, senza calcolare l’energia termica sprigionata, è di oltre 20 Megawatt all’ettaro.
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Fonte: Fieragricola