La sfida alla produzione di cibo, nella fattispecie il riso, implica crescenti sforzi in ricerca. Non basta però più produrre contributi scientifici locali, svincolati dagli scenari internazionali. Al contrario, è sempre più strategico fare squadra con tutte le competenze possibili, a livello internazionale. Si richiede per esempio lo studio della fertilità dei suoli e sull’agricoltura di precisione. Lotta alle resistenze e induzione di resistenze sono altri due punti focali dei futuri scenari tecnici.
 
L’acqua è ovviamente una delle variabili più importanti e la sua preservazione diviene ogni giorno sempre più irrimandabili, soprattutto in considerazione dei mutati scenari climatici. Estremamente sentito infine il problema legato alla presenza di cadmio e arsenico, per i quali servono maggiori monitoraggi del territorio e una moltiplicazione delle analisi ambientali. Tali contaminanti è infatti possibile ridurli, ma solo con un impegno comune.
 
Proprio per affrontare i temi succitati, presso il Centro ricerche sul riso di Castelletto d’Agogna (Pv) si è tenuto un convegno al quale hanno partecipato ricercatori e stakeholder provenienti dalle più disparate parti del mondo, come Sud Corea, Filippine, Usa, Belgio e Australia, ove nel 2017 si terrà la prossima edizione della conferenza.
 
Fra gli ospiti di maggior rilievo, spicca la presenza di Steven Linscombe, padre scientifico del riso Clearfield, il quale riassume la storia del riso negli Stati Uniti.
Venne infatti introdotto per la prima volta in Louisiana nel 1685, Stato nel quale nel 1909 venne creata la centrale di ricerca ove Linscombe lavora presso l’Lsu AgCenter Rice Research Center. Da allora il riso si è espanso in altri Stati come Georgia o North Carolina.
Fino ad arrivare in Stati “insospettabili” come Texas, California e Arkansas, ove attualmente sono coltivati oltre 500 mila ettari. Ultimi, gli Stati del Missouri e del Mississippi. Gli ibridi sono cresciuti costantemente dal 2000 al 2014, ma quest’anno sono leggermente calati a causa di ragioni economiche legate ai loro costi. In Louisiana la tecnologia Clearfield ha permesso di risolvere numerosi problemi nei diserbi, aprendo alle nuove tecniche di semina e coltivazione in asciutta.  
Grazie alla ricerca, le rese per ettaro sono lievitate del 48%, fino a sfiorare gli attuali 80 q/ha.
Attualmente, è allo studio una nuova mutazione genetica capace di conferire resistenza a uno specifico erbicida. In pratica, sarebbe l’erede di Clearfield, ma se ne potrà parlare concretamente solo fra qualche anno.
 
Steven Linscombe, padre della tecnologia Clearfield che ha reso alcune varietà di riso resistenti a imazamox
 
Se però gli Stati Uniti non stupiscono per la propria tradizione risicola, l’Australia coglie di sorpresa chi la considerasse arida e poco affine alla coltura. Russel Ford opera nel Rice Research Australia Pty Ltd e ha condiviso con la platea quanto finora acclarato sui benefici derivanti dalle tecniche di agricoltura di precisione. E sarà bene che la sua testimonianza venga presa molto sul serio, visto che le rese in Australia sono di 10,5 tonnellate medie per ettaro. Poco invece vi è da fare sulle superfici, visto che la media aziendale è di ben 1.200 ettari.

Altri contributi alla giornata hanno focalizzato sulle emissioni di metano e ossidi di azoto dalle risaie, ambienti tendenzialmente “riduttivi” che possono quindi avere un impatto considerevole sull’ambiente se non condotti con le opportune precauzioni. Non meno preoccupanti appaiono però gli scenari sulle crescenti resistenze agli erbicidi e sulla presenza di nuovi parassiti del riso, capaci di apportare danni con le punture del proprio apparato buccale.  
 
Come visto, l’approccio alla coltura dovrà modificarsi profondamente se si vuole far sì che anche l’Italia resti competitiva sugli scenari internazionali, ove nuovi Paesi emergenti stanno moltiplicando superfici e produzioni.