La transizione verso un'agricoltura a basse emissioni passa anche dalla possibilità per le aziende agricole di generare crediti di carbonio certificati da vendere sul mercato. Un'idea semplice sulla carta, ma che nella pratica implica un articolato processo normativo, tecnico e politico, che la Commissione Europea sta cercando di chiudere in questi mesi. L'obiettivo è arrivare a un sistema armonizzato a livello Ue per certificazione, registrazione e scambio di crediti di carbonio nel settore agricolo e forestale.

 

Il quadro normativo è stato già fissato con l'adozione del Regolamento UE 2024/3012, ma affinché il sistema entri davvero in funzione servono i cosiddetti atti delegati e di esecuzione, oltre a metodologie condivise per la certificazione delle pratiche agricole e forestali in grado di assorbire o ridurre gas serra.

 

"Il Regolamento è già legge, ma per ora è un quadro normativo astratto. Stiamo lavorando su due fronti: da un lato le metodologie per certificare le rimozioni di carbonio o la riduzione delle emissioni, dall'altro le regole per il processo di certificazione stesso", ci spiega Valeria Forlin, deputy head of Unit del team Land Economy and Carbon Removals all'interno della Direzione Azione Climatica della Commissione Europea, che incontriamo in occasione del World Agri-Tech Innovation Summit 2025 di Londra, evento di cui AgroNotizie® è mediapartner.

 

Le regole per il processo di certificazione sono in fase avanzata e dovrebbero essere adottate nelle prossime settimane. Si tratta di una implementing regulation che stabilirà, tra le altre cose, i requisiti che gli schemi di certificazione dovranno rispettare: trasparenza, rappresentanza degli stakeholder, sistemi interni per rilevare e gestire potenziali frodi e la separazione tra chi gestisce lo schema e chi svolge l'audit sul campo.

 

"È fondamentale che gli auditor siano soggetti esterni e indipendenti", sottolinea Valeria Forlin. "Chi gestisce lo schema ha un interesse economico a massimizzare i crediti certificati, perciò serve una verifica imparziale, simile a quanto già avviene con altre certificazioni, come quella biologica".

 

Una volta riconosciuto dalla Commissione Ue, uno schema, sia esso privato, come Gold Standard, o pubblico, come quello ipotizzato dal Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste italiano, potrà certificare i crediti secondo le metodologie Ue. Non appena queste regole entreranno in vigore, gli schemi riconosciuti dalla Commissione Ue potranno diventare operativi e applicare le regole del quadro di certificazione Ue, probabilmente a partire dal 2027.

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Le metodologie: focus su suolo e agroforesta

Il primo gruppo di metodologie su cui si sta lavorando riguarda tre ambiti:

  • Sequestro di carbonio nel suolo (ad esempio semina su sodo o uso di cover crop).
  • Riduzione delle emissioni dal suolo e dai fertilizzanti (ad esempio diminuzione di input azotati o uso di Dss per una gestione più smart).
  • Agroforestazione (la convivenza su un terreno agricolo di piante arboree e colture).

 

Restano per ora esclusi, ma solo temporaneamente, settori rilevanti come la zootecnia, in particolare la riduzione delle emissioni di metano enterico e di ammoniaca da reflui. Tuttavia qualcosa si muove, "il Regolamento ci impone di decidere entro il 2026 se includere il livestock management tra le attività certificate", anticipa Valeria Forlin. "Abbiamo già avviato i lavori per sviluppare una metodologia sperimentale".

 

Valeria Forlin, deputy head of Unit del team Land Economy and Carbon Removals all'interno della Direzione Azione Climatica della Commissione Europea sul palco del World Agri-Tech Innovation Summit 2025 di Londra

Valeria Forlin, deputy head of Unit del team Land Economy and Carbon Removals all'interno della Direzione Azione Climatica della Commissione Europea sul palco del World Agri-Tech Innovation Summit 2025 di Londra

(Fonte foto: World Agri-Tech Innovation Summit 2025 di Londra)

 

Il nodo dell'addizionalità e la sfida della remunerazione

Uno degli aspetti più complessi del sistema è il principio di addizionalità, cioè la capacità di dimostrare che il beneficio climatico (sequestro o riduzione) non sarebbe avvenuto senza il finanziamento tramite i crediti.

 

"Non si tratta di un passaggio semplice e non abbiamo ancora trovato la quadratura del cerchio. Se come baseline si considera il livello di emissioni o di sequestro di carbonio al momento dell'avvio di un programma di certificazione, si rischia di penalizzare chi ha già lavorato da tempo in maniera sostenibile volontariamente", spiega Valeria Forlin.

 

"Per ovviare a questo problema stiamo considerando la possibilità di permettere la certificazione di pratiche iniziate già in passato, almeno in una prima fase di applicazione del Regolamento. Nel lungo termine, una opzione potrebbe essere arrivare a una baseline standardizzata, basata su dati aggregati degli agricoltori in condizioni simili. Ma è un lavoro complesso, che stiamo affrontando insieme al Joint Research Centre".

 

Accanto alla sostenibilità ambientale, c'è poi la sostenibilità economica. Ad oggi, i prezzi dei crediti di carbonio sul mercato volontario sono ancora bassi e molto variabili. "Per rendere il sistema attraente per gli agricoltori serve garantire un prezzo equo. Una delle opzioni che stiamo valutando è il modello del Buyers Club, in cui la Commissione faciliterebbe un impegno collettivo da parte delle aziende della filiera agroalimentare a finanziare pratiche virtuose", spiega Valeria Forlin.

 

Nel frattempo la Commissione sta finalizzando una metodologia per il biochar e sta esplorando metodologie per altre tecnologie di carbon removal, come l'Enhanced Rock Weathering (Erw). Il biochar, in particolare, è interessante anche per gli agricoltori. Anche se i crediti associati sono generati dall'impianto di pirolisi, questo non impedisce all'agricoltore di poter ricevere una ricompensa per l'applicazione del biochar sul suo terreno.

 

Per chi fosse interessato a questi temi, l'appuntamento da segnare in agenda è il Carbon Farming Summit, che si terrà a Padova dal 17 al 19 marzo 2026, con l'obiettivo di coinvolgere attori pubblici, privati e del mondo della ricerca in una riflessione collettiva sul futuro del carbon farming in Europa.

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Un sistema flessibile, aperto ai progetti già avviati

Tra gli obiettivi principali della Commissione c'è la costruzione di un sistema armonizzato, ma non eccessivamente rigido, che possa accogliere anche strumenti già in uso sul mercato, purché rispettino i criteri europei. "Non chiediamo di abbandonare i modelli già esistenti - precisa Valeria Forlin - chiediamo solo di dimostrarne la qualità e la conformità agli standard europei".

 

Anche perché molti soggetti privati si sono già mossi per cogliere l'opportunità rappresentata dal carbon farming. Bayer Crop Science, ad esempio, ha sviluppato una decina di progetti su scala globale, come ci racconta Lionnel Alexandre, EMEA Carbon Business lead dell'azienda, che incontriamo durante il World Agri-Tech Innovation Summit 2025.

 

"Abbiamo cominciato a lavorare su questo fronte cinque anni fa con un'unità indipendente all'interno di Bayer. L'obiettivo è fornire servizi e competenze alle aziende della filiera alimentare che vogliono raggiungere obiettivi climatici".

 

Bayer distingue due tipi di progetti: quelli focalizzati sulla decarbonizzazione della filiera (Scope 3), dove non si generano crediti ma si riduce l'impronta di carbonio dei prodotti, e i progetti per generare carbon credit da vendere sul mercato volontario.

 

"In Europa al momento ci concentriamo su progetti di filiera, come quelli in corso in Polonia e Ungheria insieme ad ADM su colza e girasole", spiega Lionnel Alexandre. "In questi casi aiutiamo le aziende a monitorare, verificare e migliorare le pratiche agricole dei loro fornitori per abbattere le emissioni".

 

I progetti seguono una struttura precisa: il coinvolgimento del produttore, la raccolta dei dati tramite piattaforme digitali (comprese analisi del suolo), la definizione di una strategia di conversione delle pratiche agricole, la verifica dei risultati e infine la certificazione (ad esempio con Gold Standard).

 

Per l'agricoltore è importante fornire rassicurazioni sulla sostenibilità economica di questo nuovo approccio. Per questo Bayer ha sviluppato una piattaforma che permette di simulare differenti pratiche rigenerative, calandole sulle peculiarità dell'azienda agricola, in modo da capire quali interventi siano più efficaci e remunerativi.

 

E il compenso per l'agricoltore? "È un pagamento diretto da parte del partner industriale che intende compensare le proprie emissioni ed è proporzionale all'intervento messo in atto. Maggiori sono i sequestri di carbonio e i benefici agroambientali, maggiore sarà il pagamento", sottolinea Lionnel Alexandre.

 

Già, perché il mercato dei crediti è estremamente elastico. Un credito di carbonio sul mercato volontario può valere pochi dollari, ma se è generato all'interno di un accordo di filiera il valore si moltiplica. "Un progetto in India sulla semina diretta del riso ha avuto enorme successo perché univa risparmio idrico e riduzione delle emissioni. Gli acquirenti interessati anche alla sostenibilità dell'acqua erano disposti a pagare di più e questo ha avuto una ricaduta positiva su migliaia di agricoltori, che gestiscono ognuno pochi ettari di risaia".

 

Il valore, quindi, non è solo nel carbonio, "le aziende non vogliono solo sapere quanti chili di CO2 sono stati risparmiati. Vogliono anche biodiversità, salute del suolo, gestione dell'acqua. Il carbon farming deve andare oltre il carbonio per essere davvero scalabile e sostenibile".

 

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