Small is beautiful, piccolo è bello. Salviamo i piccoli: i piccoli agricoltori, i piccoli esercizi commerciali, le piccole scuole, i piccoli ospedali.
Per anni abbiamo vissuto una ricerca spasmodica del "grande", abbiamo cercato le economie di scala e la riduzione dei costi, ci siamo adattati alla continua e pressante competizione. Poi qualcuno sta scoprendo che non sempre questo è il modello più funzionale.
Non lo è nelle campagne, nelle colline e nelle montagne spopolate; dove nessuno più cura il territorio che viene poi esposto al dissesto idrogeologico. Un dissesto che tocca sempre più drammaticamente l'Italia e gran parte dei paesi europei e che comporta costi che nel prossimo futuro saranno inaffrontabili per il settore pubblico.
Non lo è nelle città; dove interi quartieri sono divenuti "deserti sociali", dormitori senza punti di aggregazione, senza la possibilità di comprare anche un cespo di insalata se non (forse) in un remoto (e grande) centro commerciale (negli Usa il fenomeno si chiama, per l'appunto, "food desert"). I sociologi riempiono migliaia di pagine raccontando di città del disagio e dei conseguenti costi economici e sociali; anche questi puntualmente considerati assolutamente inaffrontabili dalle Comunità.
C'è allora chi ha ricominciato a postulare una società più armonica, dove sia contemplato anche il piccolo: il piccolo agricoltore, il piccolo commerciante, il piccolo ospedale e la piccola scuola. Perché tutte queste cose sono legate fra di loro. Il piccolo agricoltore deve trovare il piccolo commerciante, altrimenti non saprà dove vendere i propri prodotti. L'abitante della collina e della montagna dovrà avere il suo ospedale e la sua scuola in prossimità di casa se no sarà costretto a traslocare.
I sociologi e gli urbanisti che pensano a una società più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale progettano oggi le "città del quarto d'ora". Città dove andando a piedi o in bicicletta sia possibile fare la spesa e trovare tutti i servizi fondamentali in quindici minuti.
È oramai molto evidente, anche ai più scettici, che bisogna ripensare il modello di sviluppo.
Cominciamo ricordandoci dei piccoli.