Il prezzo del grano duro in Italia, dopo i crolli delle ultime settimane, ha spinto il ministro per l'Agricoltura Francesco Lollobrigida a convocare il 12 aprile scorso il Tavolo del Grano Duro, dove le organizzazioni agricole hanno espresso le loro preoccupazioni per la caduta dei valori all'ingrosso delle borse merci e prospettato alcune misure per tentare di invertire la tendenza.

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Confagricoltura, servono Contratti di filiera e Cun

Valorizzare maggiormente le produzioni nazionali di pasta ottenuta con 100% di grano duro italiano, intensificando anche i controlli sulle produzioni italian sounding; fronteggiare la volatilità dei prezzi puntando ancora di più sui contratti di filiera; riattivare la Commissione Unica Nazionale per il grano duro per aiutare a migliorare la conoscenza dei processi di formazione dei prezzi. Sono queste le priorità che Filippo Schiavone, componente di Giunta Confagricoltura, ha esposto al Tavolo sul grano duro convocato il 12 aprile scorso al Masaf alla presenza del ministro Lollobrigida.

 

"La recente evoluzione delle quotazioni di mercato a livello nazionale sta preoccupando non poco gli operatori del comparto. Sono in particolare le quotazioni del grano duro all'origine che nelle ultime settimane si sono contratte notevolmente con riduzioni anche del 10% su base settimanale", ha detto Schiavone.

 

Sulle piazze di Bari e Foggia le quotazioni del grano duro fino all'origine sono crollate del 25-26% da inizio anno e del 14-15% nell'ultimo mese.

 

"La questione della tenuta del prezzo pone un serio problema di autoapprovvigionamento - ha spiegato Schiavone -. Mentre negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a contrarre le semine e quindi la produzione nazionale con un maggiore ricorso alle importazioni".

 

Questa situazione - evidenzia Confagricoltura - farà aumentare anche il potenziale dell'export verso l'Italia, che nel 2022 aveva subìto un vero e proprio crollo con un calo delle importazioni dal Canada di oltre il 40%. Nel 2022 l'Italia, primo produttore mondiale di pasta, ha importato più grano duro dall'Ue (essenzialmente da Francia e Grecia) che dal Canada, tradizionalmente primo Paese fornitore.

 

"È inoltre essenziale - ha concluso Schiavone - avere maggiore conoscenza della situazione di mercato con dati aggiornati e disponibili in materia. A questo scopo, tuttavia, Confagricoltura non ritiene sia confacente l'obbligo di istituzione e tenuta del Registro di Carico e Scarico di Cereali e derivati, il cosiddetto 'Granaio Italia' che sinora non è di fatto partito se non in via sperimentale e che rischia di tradursi unicamente in un ulteriore aggravio burocratico per le imprese".

 

Cia, fondamentale Cun e Granaio Italia

"Se non si riconosce valore ad un prodotto che ha elevati standard qualitativi, ma costi di produzione meno competitivi rispetto a Paesi esteri, sostenere la sovranità alimentare diventa uno slogan vuoto di significato". Così il presidente di Cia - Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, nella riunione del Tavolo Frumento Duro presso il Masaf.

 

Secondo Cia, in Italia è sempre più a rischio la produzione agricola di grano duro - la più estesa per superficie nel Paese - materia prima per un prodotto di eccellenza del made in Italy come la pasta. Il prezzo continua, infatti, a sprofondare, con un crollo delle quotazioni, che si aggira sui 380 euro a tonnellata, mentre nello stesso periodo del 2022 era di 550 euro a tonnellata. I margini per le aziende agricole sono così troppo esigui ed è a rischio la prossima stagione di semine.

 

Cia segnala che stanno, invece, aumentando i prezzi dei prodotti trasformati all'interno della filiera e le esportazioni sono cresciute al ritmo del +5% nel 2022, per un valore totale di 3,7 miliardi. Per Cia è, dunque, necessario mettere in campo quelle azioni strutturali di cui si parla da anni per riequilibrare la catena del valore, che è oggi troppo penalizzante per gli agricoltori.

 

Cia pone l'attenzione sulla valorizzazione dell'origine del prodotto e chiede maggiori risorse da investire sui contratti di filiera che favoriscano le produzioni domestiche, incentivando la coltivazione del grano duro made in Italy. Per una strategia di medio-lungo periodo Cia ritiene, inoltre, necessari forti investimenti in ricerca per aumentare le rese e favorire produzioni sempre più sostenibili anche in chiave ambientale. Il rafforzamento della filiera aumenterebbe così gli investimenti dei produttori italiani e ridimensionerebbe il ricorso all'import.

 

Secondo Fini bisogna dare una forte spinta propulsiva al comparto e ridurre drasticamente la dipendenza dal prodotto estero. Per implementare l'autosufficienza nazionale e aiutare le aziende a produrre più grano di qualità come richiesto dell'industria molitoria, occorre lavorare sulla trasparenza dei prezzi con il ripristino della Cun, Commissione Unica Nazionale, favorendo il dialogo interprofessionale ed è allo stesso tempo necessaria l'istituzione di Granaio d'Italia e del relativo Registro Telematico dei Cereali, che prevede azioni di contrasto verso i fenomeni speculativi. Si devono, infine, studiare con Ismea nuovi strumenti che certifichino i costi di produzione del grano duro.

 

Copagri, soluzione sono i contratti di filiera

"In un Paese come l'Italia, che è il maggior produttore mondiale di pasta e dal quale dipende ben un quarto della produzione globale, per un valore complessivo che supera addirittura i 20 miliardi di euro, è fondamentale che tutti i principali attori dell'agroalimentare si adoperino per sostenere concretamente la filiera del grano duro, comparto che contribuisce quotidianamente a tenere alta l'immagine del made in Italy nel mondo". Lo ha sottolineato il presidente della Copagri Tommaso Battista intervenendo alla riunione del Tavolo Frumento Duro, svoltosi al Dicastero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.


"Per fare ciò, bisogna andare avanti con sempre maggiore determinazione sulla strada degli accordi di filiera, unico strumento in grado di tutelare realmente i produttori agricoli, lavorando per incidere sul deficit strutturale di grano duro del nostro Paese che, a fronte dei 4 milioni di tonnellate prodotti, necessita di quasi 6 milioni di tonnellate per rispondere al fabbisogno dell'industria molitoria", ha evidenziato Battista, ricordando che "l'Italia nella campagna 2022-2023 può contare su 1,21 milioni di ettari seminati a grano duro, in calo dell'1,4% sulla campagna precedente, e su una produzione stimata pari a circa 3,9 milioni di tonnellate, in leggera diminuzione rispetto ai 4,2 milioni di tonnellate della scorsa annata".


"Oltre agli accordi di filiera, i quali non possono che partire da regole di premialità individuate di comune accordo e concertate all'interno della filiera, bisogna mettere in campo ogni possibile strumento per sostenere il comparto del grano duro, partendo da tutte le innumerevoli possibilità offerte dalla ricerca e dall'innovazione, quali ad esempio un miglioramento dell'approccio agronomico alla coltura, un maggiore ricorso all'agricoltura e all'irrigazione di precisione, ma anche una sensibile apertura nei confronti dell'utilizzo delle cosiddette Tecniche di Evoluzione Assistita, Tea", ha suggerito il presidente.


"In seconda battuta, insieme al necessario lavoro per favorire la diffusione tra le aziende agricole delle più moderne tecniche colturali attraverso i servizi di divulgazione e la formazione continua degli imprenditori, bisognerà intervenire sulle strutture di stoccaggio, rinnovandole e andandone ed efficientare il funzionamento", ha concluso Battista.