Ad eccezione dell'Eritrea, che ha scelto di non aderire, fanno parte dell'area di libero scambio cinquantatré paesi africani, per un totale di 1,2 miliardi di persone e 2.500 miliardi di dollari di Pil complessivo. L'intesa abbatte di fatto i dazi fra i paesi africani e si pone l'obiettivo di rilanciare il commercio interno al continente, in volumi e valori più limitato rispetto alle esportazioni al di fuori dell'Africa.
AgroNotizie ha parlato del patto per il mercato libero africano, il più grande al mondo, con Gianfranco Belgrano, direttore editoriale dell'agenzia di informazione "InfoAfrica" e del mensile "Africa e Affari".
Direttore Belgrano, che cosa cambierà per l'Africa con l'accordo di libero scambio?
"L'area di free trade apre alla libera circolazione di persone e merci all'interno del continente. Naturalmente, prima di raggiungere l'implementazione completa dell'accordo serviranno anni, ma quello entrato in vigore lo scorso primo gennaio è un primo e significativo passo".
Oggi a quanto ammonta l'export fra Stati dell'Africa?
"Attualmente solo l'8% delle esportazioni di un paese africano è diretto verso un altro paese del continente, con il paradosso che vi sono realtà dell'Africa che esportano materie prime al di fuori del continente e non hanno un flusso commerciale attivo verso i paesi confinanti. Bisogna anche tenere presente che molti degli scambi passano attraverso i cosiddetti scambi informali".
Quali potranno essere i benefici dell'accordo?
"Uno degli effetti sarà legato alla realizzazione di un maggiore valore aggiunto. L'abbattimento delle barriere tariffarie, insieme ad un lavoro sulla crescita infrastrutturale e alla diffusione della catena del freddo consentirà di aumentare questa percentuale di valorizzazione dei prodotti. L'assenza di barriere tariffarie, insieme con lo sviluppo delle infrastrutture e una maggiore efficienza industriale aiuteranno a trasformare il territorio, limitando così le esportazioni di materie prime, seguite da importazioni di prodotti finiti.
Uno studio della Banca mondiale ipotizza che, a fronte di un abbattimento delle barriere tariffarie nell'arco di quindici anni, 30 milioni di persone usciranno da una condizione di povertà estrema. E questo solo abbattendo i dazi. Se aggiungiamo gli altri elementi che porta in dote l'accordo di libero scambio, unito ai possibili maggiori investimenti e alla maggiore coesione a livello continentale, ciò dovrebbe consentire all'Africa di crescere".
Quali sono stati i riflessi del Covid in Africa?
"La pandemia ha messo in luce la necessità per l'Africa di dotarsi di catene di valore e, a fronte di una frammentazione delle filiere causata proprio dal Covid, la creazione di un mercato unico dovrebbe accelerare la crescita del continente".
Quali possono essere le opportunità per l'agricoltura e l'agroalimentare dell'Africa?
"Il futuro dell'Africa poggia su alcuni pilastri, come le energie rinnovabili e l'agricoltura. Non dimentichiamo che l'Africa ospita la maggior parte delle terre fertili non coltivate, ma ha limiti legati a carenze tecniche. La modernizzazione dovrà portare ad aumento della produzione e il miglioramento tecnologico porterà a ridurre la voce dello spreco, che oggi vede molta parte della produzione deteriorarsi o perdersi, perché mancano sistemi di conservazione dei prodotti. Per questo la già citata catena del freddo è una delle priorità sulle quali investire".
Quali opportunità possono esserci per l'Italia?
"Per l'Italia, che è un paese che fornisce tecnologie agricole, il continente africano e lo stesso accordo di libero scambio, rappresenta una grande opportunità. Va riconosciuto che l'Italia negli ultimi anni ha gradualmente modificato l'impostazione strategica rispetto al continente. E questo è avvenuto dopo l'iniziativa Italia-Africa, nel dicembre 2013. Da quel momento abbiamo assistito a una maggiore frequentazione da parte dei nostri rappresentanti istituzionali.
Seguendo le linee strategiche del documento Partenariato con l'Africa, l'Italia ha aperto nuove ambasciate nei paesi del Sahel, che sono di transito sulle grandi rotte migratorie, ma allo stesso tempo le ambasciate stanno diventando veri e propri punti di riferimento per il business".
Anche l'Italia prova a correre…
"Diciamo che è più dinamica rispetto al passato, ma siamo ancora un passo indietro rispetto ad altri paesi dell'Unione europea o a competitor come la Turchia. Alle imprese italiane manca un sostegno pieno del Sistema paese e, inoltre, dovrebbe essere compiuto un altro passaggio, legato non solo ai temi commerciali, ma anche agli aspetti legati agli investimenti. Il continente africano è interessante anche per produrre sul territorio, con benefici che si estendono anche all'Italia. Faccio un esempio agricolo".
Prego.
"Da anni in Senegal opera un imprenditore dei meloni, Bruno Francescon, che in Italia ha costituito la più importante organizzazione di prodotto nel settore. Grazie all'attività in Senegal ha ampliato il calendario di offerta dei meloni in Italia, assicura lavoro in Africa e ha attivato, allo stesso tempo, nuovo lavoro anche nel mantovano. Inoltre, ha avviato un'azione di cooperazione con la comunità senegalese che è sfociata nella costruzione di aule scolastiche. Ecco, è un esempio positivo di un'operazione costruttiva e vincente. Gli spazi per collaborare sarebbero enormi per le imprese italiane".
Il 2020 ha visto riaccendersi la volatilità delle commodity agricole, mentre il prezzo del petrolio ha subito un duro colpo dal Covid. Quali sono le previsioni per il 2021 per l'Africa?
"In verità non sono completamente ottimistiche, in quanto i contraccolpi sui prezzi del petrolio hanno colpito tradizionali esportatori come Angola e Nigeria, che avevano impostato i propri piani di sviluppo su valori del petrolio a ben altri livelli. La Nigeria, ad esempio, non avrà le risorse per seguire i progetti infrastrutturali prefissati. In ogni caso, avremo anche realtà in crescita, soprattutto per quei paesi la cui economia non era fondata esclusivamente sul greggio, ma sapranno diversificare.
Secondo le stime del Fondo monetario internazionale nel 2021 cresceranno di più le econome del Sud Sudan (4,1%), Egitto (3,5%), Benin (2%), Rwanda (2%), Etiopia (1,95), Tanzania (1,9%), Costa d'Avorio (1,8%), Guinea (1,4%) e Kenya (1%). Per il Sudafrica, uno dei pochi paesi africani che ha economia globalizzata si prevede una recessione dell'8%".
In questa particolare fase economica, potrebbe rappresentare una soluzione efficace il ricorso al baratto, da intendersi come scambi di materie prime: petrolio in cambio di prodotti lattiero caseari oppure petrolio in cambio di cereali?
"L'unico paese che si è mosso in questo senso è la Cina, che magari ha impostato anche triangolazioni, così da costruire infrastrutture in cambio di materie prime. In chiave agricola il Chad, forte di un rilevante patrimonio zootecnico, ha stretto accordi con l'Angola. Ma anche la Namibia ha importato carni dal Botswana per poi esportarle in altri Stati. Tuttavia, credo che continueranno ad essere esperienze limitate".
Gianfranco Belgrano, direttore editoriale dell'agenzia di informazione "InfoAfrica" e del mensile "Africa e Affari"
(Fonte foto: Gianfranco Belgrano)